La notizia non è nuova, ma fa sempre bene rileggere le parole di Antonio Di Pietro, simbolo del giustizialismo italiano incarnato da Mani Pulite, già idolo delle folle forcaiole poi irregimentate nel Movimento Cinque Stelle e che oggi si schiera senza se e senza ma dalla parte della riforma della Giustizia che il Governo sta portando avanti.
Insomma, agli occhi distratti di qualcuno non troppo addentro alle vicende giudiziarie del nostro Paese, o che, al contrario vi è talmente addentro da perdere la bussola della realtà in favore delle sirene della propaganda, la posizione dell’ex PM di Tangentopoli potrebbe suonare come un vero e proprio tradimento
Due i punti qualificanti del Di Pietro-pensiero: la separazione delle carriere e l’istituzione dell’Alta Corte Disciplinare.
Sul primo punto ogni parola par superflua.
È infatti evidente che il nostro impianto costituzionale con l’art. 111, nonchè -e persino soprattutto – la riforma del 1989 impongono l’adozione di un sistema pienamente accusatorio, sul modello processuale anglosassone. Accusa e Difesa che “si sfidano” innanzi a un Giudice terzo.
No, non è una puntata di Perry Mason, ma è semplicemente la traduzione liberale di un principio, quello dell’indipendenza del Giudice che deve trovare la sua prima applicazione proprio NEL processo, e non altrove, dove qualche Solone si ostina a difenderne l’ideologica esistenza
E affinchè questo Giudice sia effettivamente terzo è necessario che sia completamente distante dal Pubblico Ministero: insomma, che non faccia parte della stessa “famiglia” come dice Di Pietro. Oggi non è così, stante che tanto l’uno quanto l’altro fanno la stessa carriera, superano il medesimo concorso, vengono giudicati dallo stesso organo e possono decidere di mutare funzione (da giudice a PM o viceversa).
Tutto questo intuitivamente rende la terzietà del Giudice un mero proclama sprovvisto di ogni qualsivoglia effettività reale
Le conseguenze sono tutt’altro che teoriche come chi quotidianamente frequenta le aule di giustizia può confermare. E, c’è da supporre che Di Pietro, che da PM vedeva il GIP copia-incollare nel provvedimenti cautelari le proprie istanze, sappia molto bene di cosa si sta parlando. Bene che abbia preso posizione netta. Meglio tardi che mai.
Ammetto che i benefici della senescenza giovano davvero molto all’ex magistrato e me ne compiaccio, prevalmentemente per due motivi.
Il primo, l’ex PM svela il trucco che si cela dietro l’opposizione strenua alla separazione delle carriere
Chi si dice contro la riforma, infatti, paventa la subordinazione del Pubblico Ministero all’Esecutivo ma omette di spiegarne bene le ragioni tecniche. Già Giovanni Falcone a suo tempo faceva notare l’intima contraddizione di questa posizione, sottolineando come il motivo per cui non viene mai spiegato il meccanismo di asserita subordinazione sta nel fatto che non sussista affatto.
Il secondo motivo è che Di Pietro cita correttamente l’art. 104 della Costituzione ceh stabilisce che la magistratura è un ordine indipendente e autonomo soggetto (solo alla legge) e fa notare come questo non è affatto messo in discussione dalla riforma. Il magistrato che vuol continuare a fare il proprio dovere – spiega Di Pietro – potrà benissimo farlo, con forza, determinazione e merito.
Invero, vi è anche un terzo e forse più importante motivo per cui oggi apprezzare con particolare forza le parole dell’ex magistrato milanese, ed è quello che centra il cuore del problema rilevandone la natura corporativa e atuoreferenziale
Per Antonio Di Pietro non è tanto la separazione delle carriere a fare infurirare certi magistrati e in particolare l’ANM; il vero nodo è l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare e il meccanismo del sorteggio nella composizione del CSM che di fatto sottrarrà potere all’organo di autogoverno e autodichia della magistratura italiania.
I meccanismi per cui le logiche correntizie e il monopolio della giustizia discplinare non saranno più in mano agli stessi magistrati è qualcosa che manda fuori dai gangheri i giudici più politicizzati.
Quelli, insomma, che soino riusciti a sopravvivere allo scandalo Palamara e che ora vedono compromettersi la loro arbitrarietà riguardo le questioni dell’ordine giudiziario
E che persino un giudice molto esposto come Nino Di Matteo – pur contestando la riforma – abbia rassegnato le proprie dimissioni dall’Associazione Nazionale Magistrati la dice molto lunga su quale sia attualmente lo stato della magistratura associata.
E, allora, sottrarre il potere disciplinare al CSM e introdurre in esso non più un meccanismo elettivo correntizio ma casuale signifca sparigliare le carte completamente, rendere finalmente il sistema totalmente imprevedibile, e perciò più sano.
Il fatto che a reagire sia proprio l’ANM espressione massima dello status quo dovrebbe confortare quanti vogliono uina giustizia giusta e non in mano a pochi privilegiati
Per questo il merito di Di Pietro sul piano culturale è doppio. Da una parte, mostrare i limiti argomentativi di quanti si stanno sperticando contro la riforma, dall’altra argomentare in modo tecnico evidenziando come l’opposizione è soltanto di natura ideologica e autoconservativa.
Il fatto che una simile analisi provenga da chi “è (stato) dentro il sistema” e che grazie ad esso è divenuto simbolo della degenerazione degli anni ‘90, come si suol dire, “vale doppio”
Resta un nodo che è tutt’altro che trascurabile! Quello della comunicazione al “quisque de populo” circa una materia molto tecnica sulla quale in primavera il corpo elettorale dovrà esprimersi mediante referendum confermativo.
Di Pietro mette in guardia contro la tentazione di “berlusconizzare” la riforma. Se si dovesse procedere in quella direzione, infatti, si rischierebbe di suscitare il pur sempre vivo odio contro il Cavaliere esendendolo alla Riforma con grave rischio per il buon esito del referendum.
In altre parole, poichè in alcune parti della società l’antiberlusconismo è ancora vivo, sarebbe fatale intestargli le novità legislative rischiando che quella parte del corpo elettorale esprima un voto ideologico anti-Cav indipendentemetne dal contenuto specifico della riforma
Un ammonimento serio quello di Di Pietro e tutt’altro che infondato.
Siamo di fronte a un momento storico per la giustizia italiana che può finalmente imboccare la strada per divenire più giusta, più efficace, finalmente modellata sul processo accusatorio puro.
Rischiare di pregiudicare questo effetto per una deriva ideologica uguale e contraria a quella degli oppositori sarebbe un errore fatale, soprattutto quando in questo “processo storico” il Giudice – stavolta veramente terzo – è il popolo.
