Fermare l’escalation: l’ultima cosa che il mondo può permettersi è una terza guerra mondiale (non troppo fredda)

Fermare l’escalation: l’ultima cosa che il mondo può permettersi è una terza guerra mondiale (non troppo fredda)

In un momento storico in cui la tensione globale è già ai massimi livelli, un nuovo fronte di crisi rischia di accendersi tra Iran e Israele.

L’inquietudine che cresce giorno dopo giorno nei cieli del Medio Oriente non può e non deve essere sottovalutata: il mondo non può permettersi un’altra guerra, tantomeno una che potrebbe trasformarsi in un conflitto su scala globale

Gli attacchi incrociati, le dichiarazioni incendiarie e il continuo scambio di accuse tra Teheran e Gerusalemme hanno reso la regione un pericoloso campo minato diplomatico e militare. Con il Libano che continua a rappresentare un potenziale detonatore e le milizie sciite sparse tra Siria, Iraq e Gaza pronte a mobilitarsi, la possibilità di una nuova escalation non è più solo un’ipotesi teorica.

Una scintilla che può incendiare il mondo

La comunità internazionale dovrebbe essere unita in un unico imperativo: evitare l’allargamento del conflitto. Perché oggi non si parla solo di una guerra tra due nazioni. L’Iran, con i suoi legami con Russia e Cina, e Israele, stretto alleato degli Stati Uniti e delle principali potenze occidentali, rappresentano i due estremi di un asse che rischia di diventare il nuovo cuore pulsante di una terza guerra mondiale – e non necessariamente fredda.

Un’escalation nel Golfo Persico metterebbe a rischio la sicurezza energetica mondiale, colpirebbe le economie fragili del Sud globale e potrebbe innescare una catena di ritorsioni militari e cyberattacchi che investirebbe anche l’Europa.

L’Iran non è l’Iraq: attenzione alle illusioni

È bene ricordarlo con chiarezza: l’Iran non è l’Iraq del 2003. È una nazione con una storia millenaria, con una forte struttura militare, una solida cultura di resistenza e un alto tasso di coesione interna nei momenti di minaccia esterna. Una guerra con Teheran non sarebbe né rapida né indolore. Sarebbe lunga, sanguinosa, e destabilizzerebbe definitivamente l’intera regione.

Allo stesso tempo, Israele si trova in una situazione di pressione costante su più fronti: nord, sud, e ora anche nell’arena diplomatica internazionale. Il pericolo è che si inneschi una spirale senza ritorno, dove la risposta ad un attacco diventa il pretesto per un nuovo affronto.

La diplomazia è l’unica via d’uscita

Il mondo occidentale ha il dovere di giocare un ruolo attivo e responsabile. È il momento di riattivare i canali diplomatici, anche con interlocutori scomodi. Le grandi potenze, da Washington a Bruxelles, da Pechino a Mosca, devono comprendere.

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