Droga, madre di tutti i crimini, figlia del sistema

Cos’hanno in comune il padre, la madre che uccide il suo neonato o il figlio, il nipote che uccide la nonna o sua madre, l’ultra ucciso e la violenza negli stadi, il ragazzo che accoltella il carabiniere, il clan di ragazzini che provoca una strage in discoteca, il terrorista che ammazza la gente come capita, il guidatore che si schianta in auto o su ignari passanti, il guappo che spara sulla folla, il rapinatore che deruba e tortura il rapinato, l’adolescente che uccide o si uccide per futili motivi? La droga. Procurarsi la droga, spacciare la droga, controllare lo spaccio della droga, agire sotto effetto della droga o in crisi d’astinenza… In agosto si reclutano novizi.

La droga è il ponte tra la criminalità e l’immigrazione clandestina, tra la delinquenza e la povertà, tra lo sfruttamento e la disperazione; è una rotta globale che ci collega da Oriente al Sud-America. Lasciamo da parte le cronache giudiziarie, i temi di ordine pubblico e i rimedi efficaci per fronteggiare la piaga. Certo, c’è droga e droga. Ma il piano è inclinato, il fenomeno è progressivo, e l’allarme va graduato secondo il livello di pericolosità, ma si deve partire dall’alveo in cui sorge. Cerchiamo di fare la psico-storia della droga, la più rapida promessa di vita meravigliosa, per i guadagni illeciti che procura ai suoi impresari o per gli stati paradisiaci che produce ai suoi consumatori.

La droga è il sogno di un paradiso terrestre a portata di mano. È la via più breve per cambiare stato. Un sogno portatile e individuale, quando declinano le attese di redenzione affidate al cielo e agli dei, e quando finiscono pure i loro surrogati in terra, le utopie rivoluzionarie con l’attesa di un mondo migliore.

È la Ztl per entrare in paradiso da vivi e da subito. Se vuoi andare in cielo senza aspettare il permesso degli dei, anzi senza credere in loro e senza temerli, se vuoi fabbricarti l’eden a una piazza, tutto tuo, qui e ora, se l’importante – come dice la retorica del nostro tempo – è stare bene con sé stessi, allora sei in cerca di droga o di un suo succedaneo. Come l’alcol, la ludopatia, la pornografia, l’avventura esotica o altre scorciatoie per la beatitudine, dimenticando la vita reale. Il Dio segreto del nostro tempo è Dioniso, Bacco a Roma, il dio notturno dell’ebbrezza, del delirio e della trasgressione, dell’alcol e della droga, dell’orgia e dei tatuaggi.

L’uso della droga proviene da due mondi diversi rispetto alla tossicodipendenza presente. La prima è la pista remota di alcune civiltà premoderne, soprattutto orientali, che ne facevano uso rituale prima che comunitario, e perfino mistico. Era un modo sacrale per trascendere la realtà e le condizioni normali di esistenza, per acquisire visioni ed energie altrimenti inaccessibili.

La seconda è l’uso aristocratico che se ne faceva in Europa, a cavallo tra l’Ottocento e il novecento; una specie di lievito per gli artisti che galvanizza la creatività; ma anche l’accesso a un mondo esoterico, un piano superiore, uno stato d’illuminazione, riservato a pochi spiriti eletti. Molti autori e artisti ne hanno fatto uso, attori e cantanti ma anche autori definiti tradizionalisti, reazionari, conservatori. Sarebbe un elenco lungo e sicuramente lacunoso. Solo per citarne alcuni: Gabriele D’Annunzio e Drieu La Rochelle, Julius Evola e René Guénon, Ernst Junger e Gottfried Benn, Mircea Eliade ed Elémire Zolla.

Ma il fenomeno diventa di massa con l’americanizzazione della società. Si fa consumo aperto alle masse, ai giovani, a singoli e gruppi che vogliono rompere la regola: artisti, musicisti, creativi, trasgressivi in cerca di nuove esperienze. Agisce da rivolta antiborghese, anticattolica, antirazionale, contro ogni autorità, istituzione, potere. Si lega al fenomeno hippy, ai concerti psichedelici di musica pop, alla scoperta del verde e delle sue erbe, alle occupazioni studentesche e allo spirito trasgressivo e libertario del ’68. È lì che la droga si “democratizza”, si fa globale, non più esotica, esoterica o aristocratica. È lì che si “legittima”.

Il passaggio alla droga avviene quando si realizza che per cambiare il mondo basta cambiare gli occhi di chi l’osserva. È il miraggio di una libertà infinita, senza muri, anche se produce dipendenza totale da una merce e dai suoi spacciatori. La suprema mistificazione della droga è proprio questa: promette la libertà assoluta, rompe tutte le gabbie e poi ti schiavizza, t’ingabbia e ti costringe a vivere sotto il suo dominio assoluto, i suoi imperativi e i suoi fornitori. È il gradino estremo della volontà di potenza, l’elevazione del soggetto a dio momentaneo, la visione e l’estasi senza ascesi e senza divinità, il presente assoluto, senza passato e senza futuro; l’abolizione della realtà, del tempo, della natura e dei suoi limiti. La droga è alienazione radicale, lo stadio supremo del consumismo che si fa auto-consumo ed espande i desideri. Marx è capovolto, l’oppio diventa la religione dei popoli. Prometeo cede a Dioniso.

Ma la droga non rompe con la società presente e i suoi modelli, semmai è dentro la mentalità corrente, è la sua punta estrema, il suo esito finale e parossistico. Questa è la ragione nascosta che impedisce di sradicarla: è scritta dentro il codice mutante dei postumani e dell’endemico, libertario “cupio dissolvi”.

Senza amor fati, senso del limite, accettazione dei doveri e delle responsabilità verso il mondo, siamo disarmati a sconfiggere la droga. Non c’è legge o poliziotto che basti se il complice della “signorina” è nascosto dentro di noi. Per dirla col linguaggio sessantottino: la droga è figlia del sistema.

MV, Panorama n. 35 (2019)

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