Draghi non è il nemico. Il Conclave per il Quirinale

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Sembra che l’elezione del prossimo capo dello Stato debba essere un conclave. Non ispirato dallo Spirito Santo, ma piuttosto dal desiderio di alcuni politicanti di salvare la poltrona.

Mario Draghi non può essere tentato dalla permanenza a palazzo Chigi. La maggioranza che lo sostiene si sgretola ogni giorno di più. Ed andrà sempre peggio. Quando si voterà la prossima finanziaria i partiti cercheranno di smarcarsi, di distinguersi. Di darsi peso visto che dopo pochi mesi si dovranno presentare agli elettori.

Poi ci saranno le elezioni e Draghi non essendo a capo di nessuno schieramento, difficilmente potrebbe permanere alla guida del governo. Ciò sarebbe anche profondamente iniquo verso il corpo elettorale. Una volta che gli italiani esprimeranno una maggioranza governativa sarà quella che dovrà governare il paese. E sarà civile questo paese il giorno che quella scelta sarà rispettata.

Del complesso sistema schema politico italiano, la figura di stabilità è rappresentata dal Presidente della Repubblica. In quel ruolo Mario Draghi sarebbe garante di affidabilità del nostro paese nei confronti dell’Europa e non solo. Quello che sembra quasi assurdo è che sia l’Europa ad indicarci chi è il miglior italiano in quel ruolo, non il sistema-paese ad indicarlo all’Europa.

Ovvio che la UE tifi per Draghi anche per molte altre ragioni

E qui ci veniamo a trovare in una situazione complessa. Perché la politica in Italia va sicuramente riformata.
Ma la politica di per suo conto non si vuole far riformare. È stata un po’ kamikaze con questa storia del taglio dei parlamentari, l’istinto di autoconservazione la porta a continuare con i vecchi giochi dei partiti. Giochi che vanno benissimo anche ai movimenti che dicevano che non gli andavano bene, prima di entrare nel palazzo dalla porta principale.

Ovviamente mi riferisco ai partiti che compongono la maggioranza governativa. D’altro canto l’unico che l’Europa vede credibile come riformatore dell’inefficiente sistema Italia è proprio Mario Draghi. Ed ecco che a questo punto a Draghi si contrappone una resistenza.

Resistenza che però che non è una resistenza nazionale. Io avrei simpatia per essa, se fosse una resistenza nazionale. Ma quindi non siamo davanti ad una resistenza nazionale con fini nobili. Noi siamo davanti ad una resistenza a Draghi. Per la paura dei partiti che Draghi li costringa alle riforme. Per la paura di questi apparati di potere di trovarsi davanti ad un Presidente troppo indipendente da loro.

Non si tratta, per i parlamentari, di difendere la sovranità degli italiani, ma mi difendere il potere della partitocrazia. Non la resistenza dei partiti in qualità di legittimi rappresentanti del popolo, ma la resilienza come apparati di potere, a preservare il potere.

Con questo non dico che i partiti non potranno esprimere un altro nome. Però è ovvio che se il presidente non sarà largamente condiviso, sarà espresso probabilmente da una maggioranza esigua. Quindi non sbaglia neanche Berlusconi a sperarci.

Ma oggi la sovranità nazionale non sta nel respingere Draghi. Se Draghi può costringere i partiti alle riforme con la sua autorevolezza allora bene che venga Draghi.

La difesa della sovranità sarebbe pretendere che dopo un eventuale elezione del premier a presidente che ci fossero le elezioni.

 

 

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