Dazi, alleanze e punizioni: la nuova geopolitica economica di Trump
L’era Trump 2.0 ha riportato al centro della scena uno strumento antico quanto controverso della politica internazionale: i dazi doganali. Non più soltanto una leva economica per proteggere il mercato interno, ma un’arma geopolitica usata per punire i “non allineati” e mettere sotto pressione persino gli alleati storici.
La nuova strategia della Casa Bianca è chiara. Chi non segue la linea di Washington, nelle scelte commerciali come in quelle politiche, paga un prezzo salato. Paesi “non collaborativi” vengono colpiti da tariffe che vanno dal 15 % fino a punte del 50%, con l’obiettivo di piegarli a posizioni più favorevoli agli Stati Uniti.
L’India, ad esempio, ha visto raddoppiare i dazi per l’acquisto di petrolio russo; altri 60 paesi hanno subito rincari tariffari tra il 10 e il 39% in pochi giorni
È una politica senza sfumature: o si è dalla parte di Trump, o si finisce nel mirino.
Rientra in questo contesto “della carota e del bastone” anche il caso europeo. Retoricamente, Trump non smette di ripetere che “un’Europa forte è nell’interesse dell’America”. Nei fatti, però, le relazioni transatlantiche sono attraversate da un conflitto economico permanente.
A luglio è stato firmato un accordo con l’UE che prevede tariffe ridotte (ma sempre alte) al 15%, in cambio di impegni miliardari di acquisto di prodotti americani e investimenti su suolo USA
Un patto che molti analisti considerano sbilanciato, con Bruxelles in posizione difensiva e Washington a dettare le condizioni.
Non basta. Trump ha già avvertito che, se gli impegni non saranno rispettati, le tariffe saliranno al 35 l%. Una minaccia che suona come un avvertimento. Alleati sì, ma solo a patto di obbedire.
Questo approccio segna una rottura rispetto alla tradizionale visione delle relazioni internazionali basate su valori comuni e fiducia reciproca
Nella logica trumpiana, l’amicizia ha un prezzo e si misura in termini di vantaggi economici immediati.
L’Europa rimane formalmente un partner strategico, ma è trattata come qualunque altro attore della scena globale. È utile finché conviene, sacrificabile se ostacola gli interessi americani. È un’alleanza condizionata, dove il linguaggio della cooperazione è mascherato da un sottofondo di coercizione.
La vera domanda è se l’Europa saprà reagire
Continuare a giocare di rimessa rischia di trasformarla in un mercato di sbocco passivo per le merci americane, privo di potere negoziale. Per non diventare ostaggio della diplomazia dei dazi, Bruxelles dovrà sviluppare una strategia autonoma, capace di difendere sia la propria economia che la propria dignità politica.
Perché nel mondo secondo Trump, non esistono alleati permanenti, ma solo interessi permanenti.
Al momento, la linea di Ursula von der Leyen non sta mostrando successi concreti. Molta diplomazia di facciata, poche vittorie reali sul piano commerciale. È tutta l’Europa che questa volta rischia di perdere. E nel medio lungo termine anche gli Stati Uniti.
Trump ragiona in termini transazionali e di vantaggio immediato. Nel suo schema, un’Europa più debole è più facile da “gestire” e piegare a interessi americani
Ma il prezzo potrebbe essere un Occidente meno coeso e quindi meno capace di affrontare le sfide strategiche globali.
La debolezza dell’Europa potrebbe essere un boomerang anche per le mire di dominio di Trump.
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