Dalla sconfitta sul campo a quella nelle urne: perché la sinistra non riesce a imparare dai propri fallimenti
Quando si perde, si dovrebbe riflettere. Non negare
Il calcio e la politica raramente si sovrappongono, ma c’è un momento in cui si assomigliano molto: quello della sconfitta. In entrambi i casi, c’è sempre la possibilità di una riscossa. A patto che si abbia il coraggio di guardarsi allo specchio, riconoscere gli errori e correggerli. Che si tratti di una squadra o di un partito, la premessa di ogni rinascita è l’assunzione di responsabilità.
Ma c’è chi, ostinatamente, nega l’evidenza
Parlo anche per esperienza personale – da interista. Quando perdi 5-0, non puoi rifugiarti nella statistica dei tiri in porta. Hai perso e basta. Lo stesso vale in politica. Se lanci dei referendum per rafforzare il tuo consenso e ottieni una delle affluenze più basse della storia repubblicana, non hai colpito il governo: hai minato la tua stessa leadership, i tuoi programmi, la tua credibilità.
Un esempio dal passato: Bossi nel 1999.
Umberto Bossi, dopo la sconfitta alle Europee del 1999, non si dimise. Ma cambiò strategia: scaricò i colonnelli, abbandonò la linea moderata e si riposizionò. Non rivendicò una vittoria inesistente. Fece pulizia, corresse la rotta e tornò a dettare l’agenda. Fu un leader, non un tifoso cieco.
Oggi, la sinistra sembra fare l’esatto contrario
La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, invece, non sembra voler prendere atto di una débâcle. Due segnali dovrebbero farle scattare l’allarme. Il primo arriva da Pina Picierno, esponente riformista del suo stesso partito, che ha dichiarato: “Schlein è incastrata nel passato, ha fatto un regalo a Giorgia Meloni presentandosi in preda a polarizzazioni identitarie e intrappolata in una bolla di tifoserie avversarie” (intervista a Il Foglio).
Il secondo segnale d’allarme: Carlo Calenda
Dall’esterno, ma dal centro dell’elettorato moderato, Carlo Calenda ha rincarato la dose: “È stato un autogol. Il referendum è stato usato per sconfessare il governo, non per proporre soluzioni. Hanno voluto dire che i 12 milioni di italiani erano loro elettori” (intervista al Corriere della Sera). Il risultato? Una spaccatura: il campo largo sfonda a sinistra ma perde tutto il centro.
E poi c’è un dato che nessuno sembra voler leggere
Soprattutto sul referendum sulla cittadinanza, ha votato praticamente solo l’elettorato di sinistra. E un terzo ha detto no. Segno che il tema è tutt’altro che condiviso, anche tra i propri simpatizzanti. Eppure, la segretaria e la sua dirigenza sembrano ignorare il messaggio.
Il problema non è perdere. È non voler cambiare
Nello sport come nella politica, l’errore più grave non è la sconfitta, ma la negazione. Continuare a dire che “abbiamo ragione, è il mondo a non capire”, anche quando i numeri dicono il contrario, è un segno di debolezza, non di coerenza. Un buon leader – come un buon allenatore – sa che è proprio dopo una batosta che si vede di che pasta sei fatto.
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