Chi trova un like non trova un amico
Il paradosso dei social: connessione apparente, solitudine reale
I social media sono nati con una promessa seducente: connettere le persone, accorciare le distanze, creare comunità virtuali dove chiunque potesse sentirsi incluso.
Tuttavia, a vent’anni dalla nascita dei primi social network e dopo un’accelerazione imponente durante la pandemia da COVID-19, emerge un dato inquietante: più ci connettiamo online, più ci sentiamo soli
Questo paradosso solleva interrogativi profondi sul ruolo che le piattaforme digitali stanno giocando nella costruzione delle nostre relazioni sociali e nel benessere psicologico, in particolare tra i giovani.
La solitudine digitale sta diventando una pandemia silenziosa La solitudine è diventata una condizione cronica nella società contemporanea.
Tra i più giovani spesso ritenuta l’ innesco di molte problematiche psicologiche un tempo rare o quantomeno non così diffuse tra i giovani come ansia, rabbia, depressione
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tra il 2020 e il 2023 si è registrato un aumento del 25% nei disturbi d’ansia e depressione a livello globale, con incidenze particolarmente elevate tra gli adolescenti. In Italia, il Censis ha riportato nel 2023 che il 45% dei giovani tra i 12 e i 17 anni trascorre più di 4 ore al giorno sui social, mentre oltre un terzo afferma di sentirsi spesso solo nonostante la presenza costante nelle piattaforme digitali.
Le interazioni online, per loro natura rapide e frammentate, tendono a privilegiare la connessione superficiale a scapito della relazione autentica
Il like sostituisce il dialogo, la story prende il posto della conversazione profonda, e la quantità di interazioni viene scambiata per qualità delle relazioni. Questo approccio alla comunicazione, per molti giovani nati e cresciuti in ambienti digitali, ha ridefinito il concetto stesso di socialità.
Il meccanismo del ciclo vizioso
La solitudine, spesso accompagnata da noia, ansia o insicurezza, diventa un motore d’accesso ai social.
Le piattaforme rispondono con un flusso costante di contenuti progettati per stimolare il sistema dopaminergico dell’utente: video brevi, notifiche a intermittenza, interazioni veloci.
Questo meccanismo genera un piacere immediato ma effimero, che tende a svanire rapidamente, lasciando spazio a un nuovo vuoto. L’utente, in cerca di ulteriore gratificazione, ritorna sulla piattaforma, innescando un ciclo di dipendenza
Studi condotti dall’American Psychological Association e dall’Università di Stanford confermano che l’uso passivo dei social – scrollare senza interagire, consumare contenuti senza contribuire – è correlato a un aumento significativo della sensazione di solitudine, alienazione e bassa autostima.
Forse sarebbe opportuno pensare questo modo di vivere l’ adolescenza come una patologia
L’ educazione all’ integrazione, al contatto e all’ esercizio dell’ empatia e conoscenza degli altri è un esigenza educativa al pari dell’ insegnamento del diritto, delle lingue e del latino.
Un esigenza che dovrebbe partire dalle famiglie che per vari motivi non hanno spesso modo e tempo di seguire i propri figli e ignorano queste esigenze in quanto non vissute e non comprensibili a chi ha vissuto l’ adolescenza ai tempi dei muretti
Purtroppo l’ esigenza di rapportarsi e frequentare i propri coetanei è innata l’ uomo è un animale sociale e dovremmo capirlo prima che sia troppo tardi sia a livello familiare che politico educativo.
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