C’era una volta il regno sa-Baudo

L’Italia televisiva e nazionalpopolare si appresta a rendere onori solenni al suo vecchio Re, Pippo Baudo, per il suo 83esimo compleanno. Una ricorrenza non particolare né tonda, ma serve a ricordare il tempo in cui la Rai era ancora al centro del sistema solare, prima di internet e nonostante le tv commerciali. Correvano gli anni sessanta, e poi i settanta, e gli ottanta soprattutto, e i novanta. Insomma eravamo nel millennio scorso e Pippo Baudo era il Regime Televisivo in persona, la versione antropomorfica del Tubo Catodico, l’inventore di programmi, format e personaggi.

Il monarca televisivo regnò sulla Rai per lunghi decenni ed alterne fortune, compresa una fuga e un armistizio con l’avversario, come si conviene ai reali nostrani. L’addio di Baudo alla Rai fu particolarmente brutto e amaro perché si chiuse tra insulti, malori e querele, con richieste pesanti di danni. Il regno sa-Baudo finì tra litigi e carte da bollo. Ora che il tempo ha leccato le ferite e spento le polemiche e molti suoi protagonisti, si può riconoscere che Pippo Baudo dominò un’era televisiva con alta professionalità e con grande padronanza, forse troppa. La tv ha pippato per un ventennio e più, alla grande. La sua presenza in video si avvertiva anche quando era assente. Baudo ha svezzato gli italiani che oggi hanno quasi quaranta o oltre settanta anni e ha traghettato l’Italia dal bianco e nero al colore, come alcuni presidenti e dittatori del terzo mondo. Una specie di Nasser e Peron della tv, perfino un po’ Gheddafi o gran sultano di Sicilia. La mentalità era un po’ simile ma resa lieve dall’ironia e dalla leggerezza del regime tv.

Col passare degli anni il regnante siculo non accettò l’implacabile legge del tempo e dell’usura, l’inevitabile ricambio e non accettò di compiere il passo indietro o al lato che l’età e il mutato paesaggio televisivo gli imponevano. E reagì come un leone ferito e avvelenato, da Re della foresta di antenne, accusando sudditi e usurpatori. Ma eravamo passati dalla monarchia alla repubblica del video, con premier multipli e cangianti. Baudo si sentiva maltrattato dalla Rai a cui aveva dato tanto (ricevendo però altrettanto); ma le leggi della riconoscenza hanno scarso peso in un mondo fondato sulle leggi del mercato e degli ascolti, dell’impietoso e vorticoso mutamento. Lui stesso ha ripetuto infinite volte che lo spettacolo deve andare avanti, passando a volte sui corpi e sulle disgrazie. Prima o poi tocca a tutti uscire dal video o acconciarsi a ruoli più defilati. Rifiutò sdegnoso di condurre programmi diurni; voleva la serata, dove le sue ultime performance non erano state esaltanti sul piano degli ascolti e della critica, anche se condotte sempre con grande maestria.

Dissero che in preda alla rabbia, Re Pippo avesse auspicato un piazzale Loreto per i vertici della Rai, appesi a testa in giù, con relativo scempio e pisciate sui corpi indegni dei nuovi gerarchi televisivi; dubito che l’episodio sia vero, ma se lo fosse, a parte il cattivo gusto, mostrerebbe la sindrome ducesca, più che partigiana, del Bravo Presentattore. Vellicando il suo rancore con Berlusconi, gli sciacalletti e le iene del piccolo politicantismo nazionale tentarono di usarlo come vittima del berlusconismo e ariete della sinistra. Ma lui che da giovane militò anzi militellò, visto il paese d’origine e il breve impegno, nella destra universitaria, si prestò solo in parte. Baudo non poteva accettare di restringere la sua audience, il suo target, alla minoranza di sinistra, non era un Fazio ma aspirava all’ecumenismo televisivo, voleva essere il Re di tutti gli italiani.

Molti ricordano il suo primo rientro in Rai, dopo la sfortunata parentesi nelle reti berlusconiane, grazie a una fattura di morte annunciata da una vecchietta all’onnipotente e superstizioso Biagio Agnes incontrato nel cimitero del suo paese, in caso non avesse rimesso Pippo sul trono della Rai.

Lo ricordiamo un’altra volta, più recente, in feroce competizione con Bruno Vespa in un programma celebrativo della Rai e ciascuno dei due voleva primeggiare sull’altro perché si sentiva l’erede universale e legittimo al trono.

Umberto Eco scrisse la fenomenologia di Mike Buongiorno; nella fenomenologia di Pippo Baudo dovremmo dire che per anni ha incarnato nel tempo della partitocrazia l’uomo forte del Paese, domatore e tuttofare; una specie di prosecuzione del ducismo con altri mezzi (televisione e ricreazione). Un conducator più che un conduttore, bravo e inappellabile che dominava la scena e distribuiva le parti, contenendo ogni protagonismo dentro il suo.

Per anni il consenso al regime democristiano è passato attraverso la tv baudesca: la dc era la mamma e Baudo il babbo, U’Patrinu. Baudo ha davvero incarnato il nazional-popolare come disse una volta Enrico Manca, ma non in senso spregiativo, come riteneva l’allora presidente della Rai. Non il nazional-popolare di Gramsci e di Bottai, naturalmente, ma una versione leggera e giocosa come si addiceva all’epoca televisiva del riflusso e del divertimento.

Re Pippo fu anche l’involontario precursore della discesa in campo di Berlusconi in politica: con Re Pippo la tv diventò il potere forte del paese. Come un re in esilio Baudo rifiutò rapporti continuativi con altre emittenti e ha sfidato i millenni nell’attesa del suo ritorno in Rai. Ha atteso il Ritorno, come i seguaci di Stella e Corona. Corsi e ricorsi, Baudo e Rimbaudo. Ha sfidato i tempi, i traumi e le malattie, e ora è lì Re per una sera. La storia conobbe un re, Pipino il Breve, lui invece è Pippone il Lungo, in tutti i sensi. Lunga vita al Re.

MV, La Verità 7 giugno 2019

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