Cara pensione, quanto mi costi

Cara pensione, quanto mi costi

La pensione è una rendita vitalizia o temporanea che viene corrisposta a una persona fisica in considerazione di un rapporto giuridico con l’ente o la società che è obbligata a corrisponderla.

L’istituto ha subito notevoli evoluzioni nel corso dei tempi; nasce nel periodo delle monarchie assolute attraverso la cd

«giubilazione», una sorta di pensione attribuita a chi aveva reso importanti servizi al sovrano o al paese, si afferma in Italia nel periodo della fondazione del Regno, assume rilievo nel periodo fascista, nel quale si assiste alla riduzione dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia (60 maschi 55 donne), inizia a subire importanti cambiamenti nel 1992 con la riforma Amato, nella quale inizia a concretizzarsi un innalzamento progressivo dell’età pensionabile per le pensioni di vecchiaia, subisce un ulteriore modifica sostanziale con la riforma Dini del 1995 (legge 335/1995), attraverso la quale si passa dal regime retributivo (l’importo della pensione corrisponde a una percentuale dello stipendio del lavoratore), a quello contributivo (l’importo della pensione dipende dall’ammontare dei contributi versati dal lavoratore nell’arco della vita lavorativa), fino ad arrivare alla discutibilissima legge Fornero (n.214/2011) contenuta nella “Manovra Salva Italia” e che prevedeva l’estensione del metodo contributivo “pro rata” a tutti i lavoratori, aumento dei requisiti anagrafici per l’accesso alle pensione di vecchiaia per lavoratrici dipendenti del settore privato e lavoratrici autonome, aumento dell’età pensionabile per i lavoratori del settore privato a 66 anni.

Il governo Meloni, che si appresta a varare la legge di bilancio, sta cercando di mettere mano anche alle pensioni:

secondo quanto riportato in bozza, quota 104 soppianterà quota 103, novità per le donne e gli over 65 e limiti al pensionamento anticipato per andare incontro alle richiesta dell’Europa. Infatti, dal 1 gennaio 2024, in base a quanto stabilito dalla manovra del governo Meloni, si potrà andare in pensione con 63 anni di età e 41 di contributi, con meccanismi di incentivi per rimanere al lavoro più a lungo e penalizzazioni per chi avesse intenzione di accorciare i tempi per il pensionamento. Di converso, non solo le principali sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil spingono per la flessibilità nell’accesso alla pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, ma si è creata una spaccature all’interno della stessa maggioranza, con il Ministro Matteo Salvini che punta su quota 103 per andare in pensione nel 2024.

Ad onor del vero, questo non è l’unico terreno di scontro tra Fratelli d’Italia da un lato e Lega e Forza Italia dall’altro.

Nelle intenzioni della premier Meloni, quota 104 dovrebbe sostituire quota 103, che a sua volta aveva soppiantato quota 100 e quota 102

Anche l’Ape sociale e Opzione Donna dovrebbero essere sostituite da un nuovo fondo per la flessibilità in uscita. Si è anche avanzata l’ipotesi di una rivalutazione delle pensioni dello 0,8%, aumenti molto bassi che comunque, nelle intenzioni del governo, dovrebbero aiutare le fasce più deboli ad affrontare il caro-vita insieme alla Carta “Dedicata a Te” e al patto anti-inflazione.

Se il conguaglio verrà anticipato a novembre, comporterà il pagamento degli arretrati con decorrenza da gennaio 2023. Praticamente verrà riconosciuta una somma pari allo 0,8% dell’assegno pensionistico moltiplicato per dieci mensilità, da gennaio a ottobre.

Ora, al di la dei tecnicismi, resta il fatto che l’argomento pensione desta ancora serie preoccupazioni nel nostro paese; con una pensione minima, ad esempio, un anziano non riesce neanche ad arrivare a fine mese, e a causa del caro vita che ha eroso il potere d’acquisto, ci sono intere famiglie che non riescono più a pagare le bollette, saltano i pasti e addirittura rinunciano a curarsi.

Il nostro sistema pensionistico, purtroppo, si basa sul criterio di ripartizione, ovvero i lavoratori di oggi pagando le tasse e i contributi permettendo a chi non lavora più di ricevere la pensione

Questo sistema funziona fino a quanto i flussi in entrata sono uguali ai flussi in uscita, creando, in questo modo, un equilibrio finanziario all’interno del meccanismo. In Italia, come sottolineato dallo stesso Pasquale Tridico, presidente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps), lavorano in pochi, e ciò determina un gettito di contributi e quindi di entrate drasticamente ridotto.

Uno dei problemi più significativi, in relazione alle criticità che di volta in volta si presentano ogni qualvolta un esecutivo cerca di mettere mano ad una riforma strutturale seria del sistema pensionistico, è il rapporto di indebitamento debito/pil, che in Italia è altissimo; e non va certamente tralasciato neanche il problema della denatalità, che, come sottolineato dallo stesso Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e Finanza, riduce gli spazi per aumentare la spesa pensionistica nel breve e medio periodo. La bassa natalità porta come effetto l’invecchiamento della popolazione e come conseguenza la creazione di una spirale nella quale coloro che generano flussi di cassa in uscita sono numericamente superiori a chi, invece, genera entrate di cassa.

Il problema è indubbiamente di difficile soluzioni, e tenderà ad acuirsi ancora di più se non verrà affrontato nella sua interezza e gravità

Il rapporto pensionati/lavoratori continuerà a peggiorare, si andrà in pensione sempre più in là negli anni, molti italiani qualificati andranno a lavorare all’estero sia per gli stipendi ma anche perché l’età pensionabile è più interessante, mancano veri incentivi alla creazione di nuovo lavoro, gli aiuti all’occupazione sono spesso sconti alle aziende già capitalizzate che non ne hanno bisogno ed ottengono solo utili più alti.

Vincere queste sfide potrebbe rappresentare, per l’attuale esecutivo, un punto di svolta nella guida del paese.

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