Brusca torna libero, lo “scannacristiani” che sciolse un bambino nell’acido

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Brusca – Gliel’ha fatto sciogliere nell’acido suo figlio Giuseppe, 13 anni, la faccia di un bambino felice nella foto mentre cavalca al maneggio. E Santino Di Matteo, il pentito vittima dell’atroce vendetta, non può tollerare che lo Stato rimetta in libertà «questa feccia dell’umanità». Parla da una località segreta l’ex mafioso di Altofonte che Giovanni Brusca, con il fratello Enzo, per conto del padrino di un tempo, Totò Riina, voleva zittire. Nel peggiore dei modi.

Sequestrando per quasi due anni quel ragazzino trasferito da casolare in casolare con una catena al collo fino a quando Brusca, vinto dalla resistenza di un padre deciso a collaborare con lo Stato, non diede l’ordine di fare sparire ogni traccia del piccolo aspirante fantino. È questa la storia che tormenta Santino Di Matteo, stanco di zompare da un tribunale all’altro: «Dopo trent’anni mi fanno ancora testimoniare ai processi. Io vado per dire quello che so. Ma a che cosa serve se poi lo stesso Stato si lascia fregare da un imbroglione, da un depistatore?».

Da collaboratore di giustizia, sostiene che la giustizia non funziona?

«Non trovo le parole per spiegare la mia amarezza. A chi devo dirlo? È passato meno di un anno da quando avevano liberato un carceriere di mio figlio, a Ganci, il paesino delle Madonie, uno dei posti del calvario. Ma la verità è che tutti i sorveglianti e gli aguzzini della mia creatura sono liberi. Tutti a casa. E ora va a casa pure il capo che organizzò e decise tutto. Lo stesso boia di Capaci. Si può dire boia? Lo posso dire io?».

La norma consente la liberazione. Diciamo che la legge è uguale per tutti…

«La legge non può essere uguale per questa gente. Brusca non merita niente. Oltre mio figlio, ha pure ucciso una ragazza incinta di 23 anni, Antonella Bonomo, dopo avere torturato il fidanzato. Strangolata, senza motivo, senza che sapesse niente di affari e cosacce loro. Questa gente non fa parte dell’umanità».

Dopo 29 anni qualche magistrato forse sostiene che può essere cambiato.

«Si fanno prendere per i fondelli. Suo ‘parrino’, Riina, è morto in carcere. E così doveva andare per Brusca. Tu hai fatto cose atroci. Statti tranquillo, dentro. Ti diamo qualcosa, ma non puoi uscire. Perché se esce, che giustizia è? Se lo dico io, forse vale poco, ma dovrebbero essere tanti a ribellarsi. Invece, so come finirà».

Come finirà?

«Giornali e Tv ne parleranno per due giorni, poi il silenzio trionferà e quel mascalzone si godrà la libertà. Ormai so come va l’Italia. E mi faccio il sangue amaro».

Era una notizia annunciata da tempo.

«Due anni fa il presidente della Cassazione bloccò tutto. Gli disse: stati dentro. E Tina Montinaro, la vedova del caposcorta di Falcone, tuonò che non doveva accadere. Come invece ora regolarmente accade. Che cavolo di Stato è questo?».

Che cosa si dimentica in questa storia?

«Si dimentica che ‘u verru, cioè il maiale, come chiamavano Brusca, conosceva Giuseppe, mio figlio, da bambino. Ci giocava insieme con la play station. Eppure l’ha fatto sciogliere nell’acido. E questo orrore si paga in vent’anni? Io non posso piangere nemmeno su una tomba e lui lo immagino pronto a farsi una passeggiata. Magari ad Altofonte. O in un caffè davanti al Teatro Massimo di Palermo. Mi auguro di non incontrarlo mai, come chiedo al Signore. Se dovesse succedere, non so che cosa potrebbe accadere».

 

Felice Cavallaro per corriere.it

 

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