Autonomia delle Regioni, è proprio indispensabile?

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Autonomia delle Regioni, è proprio indispensabile?

Quando nel 1946 i nostri padri costituenti avevano previsto gli art.116 e 117 della Costituzione, probabilmente non si aspettavano che oltre 70 anni dopo non fossero stati attuati. Eppure ancora oggi il dibattito è aperto e le parti politiche si spaccano sull’opportunità di procedere o meno sulle autonomia locali.

Così è stato anche la scorsa settimana a Palazzo Madama, dove i senatori di maggioranza e opposizione hanno duellato per il voto sulla questione delle “autonomie differenziate”.

Per la cronaca il DDL è stato approvato con il voto favorevole dei 110 deputati dei gruppi che compongono il Governo, più il gruppo delle autonomie locali

A sorpresa, ha votato a favore anche Maria Stella Gelmini, in aperto dissenso con Calenda e due altri senatori di Azione, che invece hanno deciso di astenersi. Il Pd e i suoi alleati hanno votato contro. 64 i senatori, per la precisione, che hanno detto no alla riforma.

Una materia spinosa quella delle “autonomie differenziate”, di cui solo l’attuale Governo a trazione di destra si è fatta carico. La Lega ha spinto per presentare il decreto. L’autonomia delle Regioni è da sempre il cavallo di battaglia del partito di Salvini.

Sono 23 le materie che potranno essere prese in carico dalle Regioni se lo riterranno opportuno

Materie delegate importanti come la Protezione civile, la Ricerca scientifica, gli scali aeroportuali, l’approvvigionamento energetico e la tutela della salute. Sono solo alcuni dei compiti che potrebbero essere svolti dagli Enti distaccati. Ma la discussione riguarda anche il passaggio di altri tre importanti capisaldi oggi di competenza del governo centrale, ovvero la giustizia di pace, l’istruzione e la tutela dell’ambiente.

Non sono però deleghe passate in bianco. Il processo dell’autonomia differenziata infatti non è automatico. Innanzitutto ci deve essere una trattativa concordata per i passaggi finanziari fra Stato e Regione. Di fatto quelle Regioni che decidono di avvalersi del DDL e assumere le deleghe delle materie elencate devono ottenere le coperture finanziarie, che potrebbero provenire direttamente dal gettito fiscale prodotto all’interno del loro stesso territorio.

Tutto ciò a scapito delle Regioni del Sud, che potrebbero essere discriminate nei confronti di quelle più ricche del Nord, in quanto i servizi ai cittadini potrebbero essere peggiori per i minori introiti fiscali. Questa è la problematica principale che ha impedito per decenni di procedere con la norma sull’autonomia.

Più complesso invece spiegare il sottile equilibrio politico che molto spesso esiste fra Stato e ente regionale

In questo caso la contrapposizione di due opposti poli politici potrebbe tendere ad “aiutare” Regioni più vicine allo schieramento di Governo a scapito di altre, creando di fatto disequilibri.
Vi è inoltre il problema dei Lep, ovvero “Livelli essenziali di prestazioni”. Trattasi di una forma di prestazioni base al di sotto delle quali non si può scendere.

Una sorta di uniformità dei servizi che sono distribuiti dalla Val d’Aosta fino allo Calabria.

Il tema è assai delicato e di non facile soluzione

Per questo è stata istituita una commissione ad hoc che studi i Lep collegati con le varie materie delegabili.

I tempi di attuazione della norma saranno molto, ma molto lunghi. Salvini chiede un’accelerazione, anche per favorire le Regioni più forti economicamente. Fratelli d’Italia invece rimane cauta sulla possibilità dell’autonomia differenziata e procede subordinando la riforma a quella del Premierato, tanto cara al gruppo della Meloni.

Oltre ai problemi di natura finanziaria, il DDL prevede un bel po’ di strada bella ripida e tortuosa. Il disegno di legge prevede inizialmente di definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario delle varie materie oggetto di delega.

In seguito devono essere valutate e mese in atto le procedure per l’attribuzione delle deleghe e delle coperture finanziarie.

Dopo svariati incontri con la Conferenza unificata Parlamento/Regione, deve essere votata una legge in Consiglio Regionale. Infine un disegno di legge sancirà il definitivo passaggio delle materie che le Regioni ha deciso di accollarsi.

La legge porta con sé molti rischi, il più alto è la disparità tra regione e regione

Territori come Lombardia, Veneto e Piemonte si troverebbero avvantaggiati, sgretolando di fatto il concetto di unità e solidarietà nazionale. Ma quindi è proprio necessario continuare sulla strada dell’autonomia, ancorché differenziata?

Se Salvini gongola, la sensazione è che una parte del Governo non è in alcun modo interessata alla nuova riforma. Una sensazione non suffragata però da alcun commento o dichiarazione. L’autonomia prevista dal DDL comporta non solo che la macchina-Paese cambi forma, ma anche ulteriori spese e bassissimi benefici. Qualora altri enti dovessero prendere deleghe statali, necessiteranno di nuovi apparati, nuove strutture, nuovi impegni di spesa.

Per questo dobbiamo pensarci bene, anche perché le autonomie delle Regioni sono costituzionalmente previste, prima di attuare una riforma che, anziché portare ricadute positive, potrebbe al contrario avere conseguenze nefaste.

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