Arriva la sentenza

I giudici si trovarono in una Camera di Consiglio burrascosa

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Non esistono verbali di Camera di Consiglio. La sentenza è quello che riassume l’esito della discussione. Ma da varie ricostruzioni si può tracciare, sempre nel dubbio e non nella piena certezza, una ricostruzione sommaria probabilmente abbastanza attendibile.

Enrico Vezzalini, tra i più intransigenti, era nettamente favorevole a condannare a morte tutti gli imputati. Senza prendere in considerazione i singoli casi. Tuttalpiù valutare se concedere la fucilazione nel petto o quella infamante alle spalle caso per caso.

Renzo Montagna si batté affinché il tribunale operasse una distinzione fondamentale per decidere la pena: valutando caso per caso si doveva giudicare chi aveva dato il voto favorevole all’ordine del giorno Grandi, perché si era preventivamente accordato con la corona ed i nemici del fascismo, e chi invece era caduto in buona fede in errore. Montagna si spinse oltre affermando che in quest’ultima categoria ricadevano sicuramente Cianetti, Gottardi e De Bono.

Sembra che in questa prima fase Montagna sia riuscito a trovare l’appoggio del console Riggio, ed a persuadere il tribunale ad evitare un voto collettivo. A decidere la sorte degli imputati valutando caso per caso.

Palla nera: pena di morte

La votazione avvenne tramite un urna dove ogni giudice doveva inserire una pallina bianca se voleva concedere le attenuanti generiche ed evitare la pena capitale. Oppure una pallina nera se voleva infliggere la pena di morte.

Il primo nome preso in considerazione fu quello di Cianetti e le cose andarono per il meglio, 5 voti a 4 per salvargli la vita. Sembra che lo stesso risultato si sia ripetuto anche per De Bono e Gottardi. Ma un attacco feroce del giudice Vezzalini che arrivò ad accusare di tradire il fascismo e lo spirito rivoluzionario i colleghi abbia fatto vacillare l’appoggio di Riggio che propose di riesaminare questi ultimi due casi. A quel punto non si salvò più nessuno, tutti vennero condannati a morte.

Probabilmente quello che aveva le speranze maggiori di salvarsi oltre a Cianetti era il Maresciallo De Bono in considerazione dell’età e dei meriti militari comunque ottenuti. Ma il problema era che il generale restava l’unico imputato nelle mani degli imputati che rappresentava la casta degli alti ufficiali, che buona parte dei fascisti voleva processare come traditori.

In un certo senso, nelle implicazioni politiche del processo di Verona che Mussolini stesso ammetteva avessero peso preponderante, De Bono pagava per la casta.

Cianetti avrebbe scontato solo alcuni anni di carcere, per lui le mura della prigione sarebbero state un solido rifugio dalla guerra civile che si stava scatenando fuori. Per gli altri imputati non rimaneva che sperare nelle domande di grazia.

 

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