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Argentina, fine dell’assistenzialismo: Milei convince perché fa ciò che promette

di Simone Margheri
29 Ottobre 2025
In Esteri
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Argentina, fine dell’assistenzialismo: Milei convince perché fa ciò che promette
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Argentina, fine dell’assistenzialismo: Milei convince perché fa ciò che promette

In Italia, molti commentatori di sinistra avevano già scritto il copione: l’Argentina di Javier Milei sarebbe esplosa sotto il peso delle sue politiche “ultraliberiste”.

I titoli parlavano di rivolta imminente, di fame, di un paese in ginocchio

E invece, al primo banco di prova elettorale, Milei ha vinto. Con oltre il 41% dei consensi nelle elezioni di medio termine e una distanza di quasi venti punti dal fronte peronista, il presidente argentino ha consolidato la sua posizione e ottenuto la maggioranza necessaria per procedere con le riforme strutturali.

L’affluenza, al 67%, è stata definita “bassa” dai media europei; in realtà, sarebbe considerata un record in molte democrazie occidentali, Italia compresa

Quando Milei è entrato alla Casa Rosada, l’Argentina era tecnicamente in default interno: inflazione al 300% annuo, spesa pubblica fuori controllo, moneta svalutata dell’80% in un solo anno, deficit primario al 3,3% del PIL e povertà sopra il 55% della popolazione. Oggi, a meno di un anno di distanza, i dati raccontano un cambio netto.

L’inflazione è scesa sotto il 120%, dimezzata in dieci mesi; lo Stato ha chiuso cinque mesi consecutivi in avanzo primario; il peso si è stabilizzato e la Banca Centrale ha smesso di stampare moneta per coprire la spesa; gli investimenti diretti esteri sono cresciuti del 28% nel secondo semestre 2025; il deficit commerciale è diventato surplus grazie all’aumento delle esportazioni agricole e minerarie.

La cura è dura, ma funziona, e la popolazione sembra averlo capito: i tagli alla spesa pubblica, la riduzione dei sussidi energetici e ai trasporti e la razionalizzazione della macchina statale sono stati accettati come prezzo da pagare per ritrovare stabilità

Milei non ha promesso miracoli: ha detto la verità. Ha spiegato agli argentini che la ricchezza non si crea per decreto, né con l’assistenzialismo cronico di un Paese che da anni viveva di sussidi e clientelismo.

Per decenni, il modello peronista aveva drogato l’economia distribuendo “benefici” a debito: energia quasi gratuita, trasporti sovvenzionati, impieghi pubblici fittizi

Tutto questo generava consenso politico, ma anche inflazione e stagnazione.

L’iperinflazione, al pari dello “sceriffo di Nottingham” della favola di Robin Hood, ha finito per colpire proprio i più poveri, cancellando i loro risparmi e rendendo impossibile pianificare il futuro

Oggi, invece, i salari reali stanno lentamente recuperando potere d’acquisto, la fiducia dei mercati è risalita e il rischio-Paese — termometro della credibilità finanziaria — è sceso di quasi 800 punti base in un anno.

L’accordo economico con Washington, pari a circa 20 miliardi di dollari in linea di credito e swap valutari, non è una dipendenza ma un segnale di fiducia. Gli Stati Uniti scommettono su un’Argentina che torna solvibile e attraente per gli investitori.

È la stessa logica che ispirò il Piano Marshall: aiuti sì, ma legati a riforme e responsabilità

L’Argentina non è un caso isolato. Paesi come Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna hanno dovuto affrontare lo stesso nodo: tagliare, riformare, liberalizzare. Solo dopo il dolore iniziale è arrivata la crescita. In questo senso, il successo politico di Milei, più che una sorpresa, è un segnale: l’elettorato argentino ha compreso che chi promette regali, alla fine, impoverisce, mentre chi impone disciplina economica restituisce valore alla moneta, dignità al lavoro e prospettiva al Paese.

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