Almirante e Berlinguer si davano la mano

Ah, i tempi di Almirante e Berlinguer. Almirante con gli occhi di cielo e Berlinguer con lo sguardo timido e onesto. Capita sempre più spesso di sentire dalla gente questo strano rimpianto congiunto di due figure così lontane tra loro. Ma come, Almirante il fascista e Berlinguer il comunista, insieme? Almirante reputato dai comunisti un criminale repubblichino e Berlinguer considerato dagli anticomunisti un tappetino dell’Urss, muto davanti ai loro carri armati…

Però alcuni ricordano Almirante che rende onore alla salma di Berlinguer nell’84 – una morte praticamente sul palco, che Almirante gli invidiava – e Pajetta che rende onore ad Almirante morto, quattro anni dopo. Una pagina bella di civiltà e nobiltà della politica. Ma pochi sanno che Almirante e Berlinguer s’incontrarono in segreto anche in vita. Ne scrive Antonio Padellaro in un intrigante pamphlet (Il gesto di Almirante e Berlinguer, Paper First).

Negli ambienti del Pci non è mai trapelato nulla di quegli incontri perché i compagni reputavano vergognoso incontrare quel fascista; invece qualcuno tra i missini ne parlò, come l’addetto stampa di Almirante, Massimo Magliaro o la mitica donna Assunta, vedova di Almirante. E un po’ si mormorava negli ambienti missini, senza indignarsi, anzi. Perché s’incontravano? Per arginare il terrorismo rosso e nero, si disse, per scambiarsi informazioni in merito, essendo ambedue nel mirino. E magari per capire il ruolo dei servizi segreti nelle trame rosse e nere; per capire a che gioco stessero giocando alcuni personaggi, come Andreotti. L’Msi aveva subito da poco una dolorosa scissione che ritenevano pilotata dalla Dc. E il Pci era sulla graticola tra compromessi e colpi bassi. Almirante ci andò con una misteriosa borsa in cuoio, era lui che aveva dei documenti da mostrare. Quegli incontri rossoneri avvennero in un anno eccezionale, il 1978, l’anno dei tre papi, due presidenti della repubblica, e Moro ucciso. Leone costretto alle dimissioni… Tutto stava cambiando, erano perciò possibili anche gl’incontri impossibili. Forse ce ne furono altri, in seguito. Si narra di un mitico incontro a Villa Borghese, da soli, senza scorte. Li vedi, come clandestini, coi loro corpi magri, seduti su una panchina di pietra.

Padellaro riannoda i fili allargando la narrazione ad altri scenari del tempo. Ricorda cosa scrisse Pasolini contro il “razzismo” della sinistra verso i fascisti. Si spinge ad auspicare di dedicare una Piazza Almirante e Berlinguer, perché “presero sul serio la propria vita e quella degli altri, sfidano il timore di non essere compresi”. Anche a non condividere, va riconosciuto a Padellaro il garbo e l’onestà e la ragionevolezza. Non nasconde che lui proveniva da una famiglia fascista.

La polverosa lontananza del tempo rischia ora di assimilarli, ma Almirante e Berlinguer erano assai diversi e non solo per le ideologie. Almirante era il principe degli oratori, paroliere d’Italia, figlio del teatro e amante di Dante e d’Annunzio; Berlinguer era l’antioratore per eccellenza, sobrio, di scarso carisma, col suo “faticoso italiano”, come disse una volta Almirante. Giorgio eccedeva sul suo piccolo Msi, Enrico invece era sovrastato dal grande Pci. Almirante era ammirato e amato da tanti ma votato da pochi; Berlinguer al contrario fu amato e mitizzato da morto, ma votato da tanti, nel segno del Pci. Il picco dei voti lo ebbe da morto, quando il Pci sorpassò la Dc dopo il suo grandioso funerale, con Pertini nel ruolo di Prefica Presidenziale.

Berlinguer merita rispetto, fu una figura dignitosa e austera, anche se hanno poi negato perfino la sua tristezza, carpendo un suo raro sorriso tra le braccia di Benigni e lasciando ai posteri quell’immagine desueta. Berlinguer non aveva la statura e la cultura di Togliatti, e nemmeno il suo cinismo, non sprizzava l’intelligenza briosa di Pajetta né il travaglio intellettuale d’Ingrao o del Manifesto, non uscì mai dal Canone. Quanto a svolte fu più ardito Occhetto, seppur col favore di Gorbaciov e dei muri crollati. Berlinguer fu comunista nonostante gli orrori del comunismo, fu allineato all’Unione Sovietica fin oltre la metà degli anni settanta, sognava l’eurocomunismo mentre Craxi calava la sinistra nella storia d’Italia e nello scenario europeo. “Rispondiamo di no a chi vuol portarci alla rottura con altri partiti comunisti”. Alimentò l’antifascismo in assenza di fascismo, lo usò per reintrodurre il Pci nelle istituzioni e nelle alleanze. Berlinguer auspicò l’austerità come collasso del capitalismo e preambolo al comunismo. Mestamente comunista, non lasciò opere e tracce cospicue, si oppose alla socialdemocrazia e la storia gli dette torto, considerò il Partito come il Paradigma. Fu una persona onesta, per bene, ma basta la sua decorosa mediocrità per farne un santo con relativa agiografia? Berlinguer è stato un pretesto narrativo per santificare gli eredi e la loro “diversità”. Non fece analisi acute, profetiche e memorabili, sulla questione morale fu preceduto da Almirante (la denuncia della corruzione politica li accomunò). La modestia fu la sua virtù ma anche la sua misura. La sua aria grigia da funzionario di partito era riscattata dalla sua aura nobiliare di marchese. Non fu un gigante né un liberale, ma un comunista per bene. Anche perché non andò al governo, per fortuna nostra e anche sua.

Forse col tempo abbiamo idealizzato Berlinguer e Almirante, vivere tra i pigmei ti porta a considerare giganti anche figure controverse coi loro difetti. Però che volete, quando vedi Zingaretti, Renzi e il contorno o quando pensi a Fini e quel che ha lasciato, ti scappa un sospiro di nostalgia per Almirante e Berlinguer. Quei due, così diversi, venivano da una storia e nutrivano ideali. Bella l’idea di intitolargli una piazza; ma, vedrete, si perderà per strada, nei vicoli ciechi del rancore e dell’oblio.

MV, La Verità 5 maggio 2019

 
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