All’alba dello scontro

Le fazioni in cui era diviso il Gran Consiglio del Fascismo

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Il Gran Consiglio era convocato per sabato 24 luglio alle ore 17:00. Mussolini conosceva benissimo il contenuto dell’ordine del giorno grandi poiché Grandi stesso gliene aveva tranquillamente parlato.

Dino Grandi era riuscito a portare dalla sua parte l’intellighenzia del movimento. Federzoni, figura emblematica dei nazionalisti italiani, De Vecchi quadrumviro della marcia su Roma, De Stefani accademico e già ministro delle finanze da tempo polemico con il regime. Grandi aveva affinato l’ordine del giorno con la collaborazione di un’altra importante anima critica del regime, Giuseppe Bottai.

Erano inoltre stati contattati ed avvicinati Belella presidente di Confindustria, Tullio Cianetti personaggio di spicco del sindacalismo fascista e da poco ministro delle corporazioni. Si era avvicinato anche, per motivi legati alla fedeltà militare verso la monarchia, il Maresciallo d’Italia Emilio De Bono, altro quadrumviro della marcia su Roma.

Galeazzo Ciano dalla parte di Grandi

In quei giorni si era felicemente schierato dalla parte di Grandi anche Galeazzo Ciano, genero di Mussolini. Si era creata un’importante fronda che si giocava tutto quanto con questo documento che trovava la sua sostanza politica: “invita il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l’onore e la salvezza della Patria assumere con l’effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono”.

Tutta la parte precedente in cui si stringeva vicino al popolo siciliano, che affermava il dovere della resistenza nazionale piccola e la parte successiva in cui si richiamava la gloria della dinastia Savoia contavano giusto.
Perché l’articolo 5 dello statuto, oltre a stabilire il ruolo di comandante supremo delle Forze Armate per il sovrano lo faceva titolare del potere esecutivo.

Le forze armate erano con Mussolini

Mussolini aveva il comando delle Forze Armate su delega del Re. Ed a restituire questa delega neppure lo stesso Mussolini aveva problemi, valutando indispensabile che tutta la nazione si schierasse a difesa del paese. Il problema non era in quella funzione formale di comandante delle Forze Armate.

Il problema era nella titolarità del potere esecutivo. Si parlava a quel punto di restituire anche una delega politica al Re. Ridargli la suprema iniziativa voleva dire che il Re aveva facoltà di fare la scelta che riteneva più opportuna al momento anche sul governo.

Quello Mussolini non lo poteva accettare perché avrebbe significato la messa in discussione della sua stessa autorità politica. Quella fronda sapeva di avere sicuramente contro Farinacci, non per fedeltà Mussolini, bensì poiché era l’uomo di fiducia dei tedeschi. Anche se era un uomo apertamente isolato all’interno del Gran Consiglio.

Poi a quella frangia si sarebbe opposta sicuramente un’altra frangia, composta bensì da fedelissimi del regime. Fedelissimi quali il segretario del Partito Nazionale Fascista Carlo Scorza, Il comandante generale della milizia Enzo Emilio Galbiati, il presidente del tribunale speciale Antonino Tringali Casanova, ed un altro uomo di fiducia dei tedeschi nonché fedelissimo di Mussolini Guido Buffarini Guidi.

Restavano però altri quattordici membri che avrebbero determinato la differenza. Se la fronda fosse rimasta compatta avrebbe necessitato solo di altri sei voti. Ma in un organismo di un regime autoritario, con un capo carismatico presente quella maggioranza avrebbe potuto risultare quasi impossibile.

D’altro canto l’insoddisfazione per la disastrosa situazione bellica faceva la sua parte. La fronda si giocava il tutto per tutto.

 

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