Reportage: la Siria del 2019 raccontata da un volontario

Beirut, ore 16.00 del 19 agosto 2019. Inizia da qui il nostro viaggio verso la Siria. Per me non è la prima volta e neanche la seconda. Dal 2013 ho partecipato a numerose missioni solidali nel Paese, organizzate dalla Onlus Solidaritè Identitès per fornire aiuti umanitari al popolo siriano colpito dall’aggressione terroristica. “Solid” è l’unica associazione italiana impegnata direttamente in territorio siriano, negli anni più duri del conflitto l’attività si è incentrata sul portare e distribuire beni di prima necessità alla popolazione civile. Successivamente, da quando la guerra è stata circoscritta alla provincia di Idlib cessando nel resto del Paese, è nato un nuovo importante progetto, chiamato “Turismo Solidale”.  L’obiettivo dei volontari è quello di riaprire i ponti tra l’Italia e la Siria attraverso i viaggi e nuove occasioni di conoscenza, favorendo un interscambio culturale che riaccenda quella fratellanza mediterranea che storicamente unisce i nostri due popoli.

Prima della guerra, iniziata il 15 marzo 2011, le relazioni bilaterali tra le due Nazioni erano ottime: l’import/export superava il valore di due miliardi e mezzo, un tesoretto consistente per l’Italia, basti pensare che nel comparto industriale siriano oltre il 50% dei macchinari proveniva dal nostro Paese. Dall’Italia alla Siria partivano in misura consistente anche prodotti chimici, apparecchiature elettriche, prodotti alimentari e molto altro. Finmeccanica portava a casa affari d’oro, così come altre importanti aziende strategiche italiane, come  Eni, Saras e Italiana Energia e servizi spa, impegnate nel raffinare gli oltre 110.000 barili di petrolio in arrivo dai giacimenti siriani. Insomma, per l’Italia la Siria era uno dei maggiori partner nel mondo, per la Siria l’Italia era il primo in Europa.

Il 9 maggio 2011 però, il Consiglio dell’Unione Europea impone agli Stati membri di applicare l’embargo contro la Siria, la motivazione addotta è quella di punire le forze di sicurezza siriane per la “repressione contro le pacifiche manifestazioni di protesta”, l’Italia ubbidisce in silenzio, nonostante sappia benissimo che si tratta di manifestanti armati, tutt’altro che pacifici, tanto che alla fine del mese di marzo del 2011 i soldati siriani uccisi sono già 80. Nel 2012 le sanzioni si inaspriscono e il Governo Monti ritira il nostro Ambasciatore, fatto molto grave, se si pensa che poco prima aveva fatto il suo ingresso nel conflitto il gruppo terroristico “Jabath Al Nusra”, ramo siriano di Al Qaeda, arrivato a supporto delle “pacifiche manifestazioni di protesta”. I rapporti si interrompono del tutto e Gran Bretagna e Francia sorridono beati per l’ulteriore ridimensionamento dell’influenza italiana nel mediterraneo, già pesantemente minata con la devastazione della Libia.

Le motivazioni reali di questa guerra alla Siria sono infatti legate ad interessi energetici ed economici, se per l’Italia il dialogo nel mediterraneo è cosa naturale, per gli Stati Uniti e il resto delle Nazioni “occidentali”, storicamente e geograficamente estranee a questo contesto, l’abitudine consolidata è quella di manifestarsi con prepotenza ed arroganza. La creazione di gruppi armati antigovernativi, con il supporto economico, mediatico, diplomatico e militare fornitogli da Usa, Ue, Turchia, Arabia Saudita, Qatar e altri alleati, non ha mai avuto niente a che vedere con la democrazia, cosa peraltro già vista in altre recenti occasioni.  Questa volta però le cose non sono andate come avrebbero voluto Washington e Bruxelles e la tenace resistenza dell’esercito siriano ha consegnato al mondo la verità. I “ribelli democratici” non sono mai esistiti, la Siria è stata attaccata, saccheggiata e distrutta da un agglomerato di disertori prezzolati, tagliagole islamisti e foreign fighters (combattenti stranieri), appositamente mobilitati per tentare la destabilizzazione del Paese.

Torniamo adesso al nostro viaggio, verso le 19.00 arriviamo alla frontiera siriana, primo indicatore della situazione nel Paese: dal 2016 in poi, questo luogo a metà tra la Capitale libanese e quella siriana, ci mostra i miglioramenti in divenire. Oggi non si vedono più siriani che abbandonano il Paese, solo gente che torna verso casa, i militari sono rilassati, il confine è tirato a lucido, impreziosito come sempre con bandiere e immagini patriottiche. Ad accogliere i visitatori anche una scritta “Syria” nuova di zecca, sopra la quale svetta fiera l’immagine del Presidente Assad.

Svolte le pratiche relative ai visti imbocchiamo l’autostrada per Damasco, adesso percorribile in totale tranquillità. Fino a tre anni fa non era affatto così: la battaglia strategicamente fondamentale nella vicina zona montuosa del Qalamun, con lo sconfinamento della guerra in Libano, rendevano questa tratta abbastanza pericolosa.  In passato quando capitava di percorrerla di notte, il rischio di essere intercettati da pattuglie di terroristi armati ci imponeva di farlo a fari spenti.

Arrivando via terra da Nord Ovest, scelta obbligata fino a quando dall’Europa non si decideranno a ripristinare i voli diretti per la Siria, si accede a Damasco da Piazza degli Omayyadi, dove si erge il maestoso monumento della Spada di Damasco. Il nostro gruppo è composto da una quindicina di persone, quasi tutte alla prima esperienza in Siria, quando ci imbattiamo nei primi veri check point dell’esercito siriano guardo i loro volti per scorgerne le reazioni, il primo impatto con immagini da territorio di guerra non è cosa da poco. I militari siriani, appurato che non si tratta di nemici,  ti mettono subito a tuo agio, ti accolgono seri ma sereni, precisi ma cortesi. Controllano i documenti, passano accanto ai mezzi con i rilevatori di esplosivo e poi salutano, spesso mimando con le dita il segno della Vittoria. Noi ricambiamo con rispetto e proseguiamo verso il centro cittadino.

Entrati su Baghdad Avenue mi accorgo subito che rispetto al mio viaggio dello scorso marzo i posti di blocco sono ulteriormente diminuiti, altri negozi hanno riaperto, i bambini giocano nei parchi. Il 10 aprile 2018 le forze governative hanno sconfitto i ribelli asserragliati a Jobar, Duma e in tutta la periferia est di Damasco. Da quel momento tutta la città festeggia 24 ore al giorno, per troppo tempo i damasceni hanno convissuto con l’incubo del terrorismo alle porte di casa, per 7 anni soltanto poche centinaia di metri hanno diviso i popolosi quartieri del centro dalle periferie occupate dagli islamisti, dalle quali quotidianamente piovevano razzi sulla popolazione civile.  Bersaglio di questi lanci erano in particolar modo i residenti delle adiacenti zone di  “Bab Touma” e “Bab Sharqui”, importanti quartieri cristiani nella parte est della città antica. Il nostro albergo ci aspetta proprio nel cuore di queste zone, fino a pochi mesi fa esposte alla guerra e oggi desiderose di normalità. Volutamente abbiamo deciso di iniziare da qui il nostro giro della Siria, una delle missioni più importanti del “Turismo solidale” è proprio quella di contribuire e partecipare attivamente al ritorno della vita.

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