Bloccare i social ai ragazzi? Sì. Ma la cura è riportare creatività e laboratori nelle scuole
Mercoledì 10 dicembre 2025 la data che segna in Australia l’entrata in vigore dell’Online Safety Amendment Act, la legge approvata il 29 novembre 2024 che impone alle grandi piattaforme digitali – da Instagram a TikTok, da Facebook a YouTube – l’obbligo di adottare “misure ragionevoli” per impedire l’accesso agli under 16. Non sono previste multe per i genitori, né tantomeno per i ragazzi: l’intero peso della responsabilità ricade sulle aziende tecnologiche. Un cambio di paradigma fondamentale, che sposta il dibattito dal comportamento individuale alla progettazione dei sistemi digitali.Una norma simile è stata discussa anche nel Parlamento europeo, su impulso di diversi Paesi, incluso l’Italia attraverso un’iniziativa politica promossa dal governo Meloni. Il motivo è ovvio, e ormai non più ignorabile: i social network stanno mostrando un impatto devastante sulla salute mentale dei più giovani, con crescite documentate nei livelli di ansia, dipendenza digitale, disturbi del sonno, distorsioni dell’immagine corporea e crollo dell’attenzione.
Le normative servono, ed è giusto che gli Stati chiedano conto a chi progetta piattaforme concepite per trattenere gli utenti il più a lungo possibile. Ma c’è un punto che nessuna legge potrà risolvere davvero: i ragazzi che vogliono aggirare un limite, lo aggireranno. Troveranno scorciatoie, useranno app meno conosciute, migreranno su piattaforme marginali e spesso più pericolose, dove la moderazione è minima e la tutela inesistente.
Ed è qui che emerge il nodo fondamentale: non possiamo delegare al solo divieto il compito di salvare una generazione. Serve una strategia educativa radicale, lungimirante, strutturale.La proposta: rifondare la scuola per riaccendere la mente dove i social la spengono
Se il controllo tecnologico sarà inevitabilmente imperfetto, l’unica risposta efficace è costruire nei giovani capacità, interessi, creatività e competenze reali. Non basta insegnare l’uso critico dei social: bisogna offrire alternative concrete, materiali, coinvolgenti. Bisogna dare ai ragazzi la possibilità di “fare”, non solo di “scrollare”.
Per questo, la proposta è una riforma scolastica profonda:
integrare, a partire dalle scuole primarie, una nuova stagione di laboratori manuali e creativi, capaci di mettere le mani – e la mente – in movimento.
Cucina, per comprendere la materia, il tempo, l’attesa.
Cucito, per sviluppare precisione, pazienza, progettualità.
Laboratori di fisica sperimentale, dove la curiosità diventa pratica.
Piccola manovalanza muraria, per costruire davvero ciò che normalmente vedono solo in video.
Mini-laboratori di idraulica ed elettricità, per imparare il funzionamento del mondo reale e acquisire autonomia.
Spazi di arti applicate, dove la creatività non è un hobby ma una forma di pensiero. Non si tratta di sostituire la cultura umanistica e scientifica, ma di arricchirla. Di trasformare la scuola in un luogo in cui si coltiva la manualità, la concentrazione profonda, la competenza tangibile. In cui la soddisfazione deriva dal creare qualcosa, non dal collezionare like. Ritrovare ciò che abbiamo perduto
Il paradosso della generazione iperconnessa è che vive in un mondo infinito ma non costruisce nulla di proprio. I social saturano i pensieri, ma impoveriscono l’immaginazione. Offrono intrattenimento costante, ma non lasciano spazio alla noia creativa. E così la mente, invece di accendersi, si assopisce.
Una scuola che insegna a cucinare, a cucire, a costruire, a capire il funzionamento delle cose restituisce ai giovani il senso dell’opera, della progettazione, dell’errore, del miglioramento. Riporta l’apprendimento alla sua essenza: scoprire, sperimentare, trasformare.
In un’epoca in cui miliardi di occhi sono catturati dallo schermo, la vera emancipazione passa attraverso le mani.
Le leggi possono limitare il danno.
Solo l’educazione può creare il futuro.
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