Landini tradisce i lavoratori; Il Lavoro Non Chiede Scontri, Chiede Rispetto
Lo sciopero, nella sua essenza più autentica, è un diritto garantito dalla Costituzione italiana. L’articolo 40 recita chiaramente che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Si tratta quindi di una forma di protesta collettiva, finalizzata alla difesa degli interessi materiali e morali delle lavoratrici e dei lavoratori. Storicamente, ha rappresentato una leva fondamentale per ottenere conquiste sociali: salari più equi, orari dignitosi, condizioni di lavoro sicure. Nel tempo, però, questo strumento ha perso in parte la sua forza originaria, complice una crescente distanza tra la base dei lavoratori e i vertici sindacali. È chiaro che in virtù della definizione di sciopero, Maurizio Landini, utilizza lo stesso come un mezzo più politico che sindacale. Quando uno sciopero viene proclamato non per rivendicazioni concrete legate a condizioni di lavoro, salari o sicurezza, ma per motivazioni generiche o ideologiche, allora si apre una frattura tra la legittimità formale e quella sostanziale dell’iniziativa. La stessa CGIL, nel proprio statuto, afferma di ispirarsi al principio dell’autoregolamentazione e al rispetto dei diritti dell’utenza. Eppure, appare sempre più evidente il rischio che queste manifestazioni vengano usate come vetrine mediatiche più che come strumenti di reale rappresentanza dei bisogni dei lavoratori.Il diritto allo sciopero resta sacrosanto. Ma proprio perché è un diritto prezioso, non può essere svilito o strumentalizzato. In un Paese che cerca stabilità, lavoro e coesione sociale, serve serietà da parte di chi rappresenta il mondo del lavoro. Altrimenti, a pagarne il prezzo saranno proprio i lavoratori che si dice di voler difendere.
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