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La pratica, tutta occidentale, di cambiare regimi a piacimento

di Francesco Petrone
27 Giugno 2025
In Politica
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baghdad
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La pratica, tutta occidentale, di cambiare regimi a piacimento

Dalla fine della guerra fredda, negli Stati Uniti si è sviluppata una dottrina antitetica al diritto internazionale e agli accordi firmati da tutti i plenipotenziari dei Paesi rappresentati.

Dai trattati si evince che uno Stato non può intervenire direttamente per modificare l’ordinamento giuridico di un altro Stato sovrano. Questo perché nel fondamento normativo delle Nazioni Unite del 1945, ogni Stato gode del diritto inviolabile della propria sovranità

Inoltre, come è stabilito da successivi trattati, ogni Stato sovrano ha diritto allo sviluppo pacifico delle proprie capacità scientifiche e tecnologiche. Inoltre il diritto internazionale vieta espressamente l’uso della forza o altre forme di intervento.

Questa è la normativa di base esistente

Poi esistono anche dottrine politiche non riconosciute da alcuno ma adottate spesso in modo illegittimo e improprio. Una di queste, la più discutibile è quella detta del “Regime Change” o frettolosamente chiamato cambio di regime.

È una pseudo dottrina nata in vari periodi negli Stati Uniti e tratta di mutamenti politici forzosi in uno Stato eseguiti da altri attori o addirittura da organizzazioni private, per sostituire il governo esistente con un altro e per modificare la struttura politica di uno Stato sovrano.

Tale dottrina ha ripreso alcuni spunti sulle azioni effettuate da Stalin, in un certo periodo, sui governi dei Paesi del Patto di Varsavia e sulla esportazione del socialismo reale

Il principio della esportazione è il medesimo. La cosa può avvenire, secondo la teorizzazione, con mezzi cosiddetti interni, come rivoluzioni indotte o veri colpi di Stato, che esterni, come invasioni, operazioni di intelligence, o coercizioni. Può avvenire con cambi di regime imposti e favoriti magari da sanzioni.

La parola d’ordine più diffusa perché più accettata da un’opinione pubblica confusa, è la cosiddetta “esportazione della democrazia”

Uno slogan che si rende prezioso ogni qualvolta si deve ricorrere ad una guerra distruttiva, un colpo di Stato, una palese destabilizzazione di un ordinamento, metodi che inevitabilmente invece hanno sempre sostituito ogni potere costituito col caos endemico, con guerre tribali, con tante piccole dittature di ras locali.

Inoltre non dobbiamo dimenticare le guerre mascherate da operazioni umanitarie che invece generano solo terrorismo diffuso. Prima ancora che fosse teorizzata la dottrina del “Regime Change”, abbiamo avuto il precedente del cambiamento di governo in Iran nel 1953, operazione di cui stiamo ancora pagando le conseguenze

Nelle libere elezioni iraniane viene eletto un certo Mohammad Mossadeq alla carica di primo ministro.

Essendo un nazionalista riformista, una sua mossa, nella politica economica, fu quella di nazionalizzare il petrolio, facendo venire meno i lucrosi profitti di una compagnia inglese che lo gestiva.

Erano gli anni in cui molti Stati tendevano ad affrancarsi dal potere economico egemonico occidentale che strangolava molti Paesi, come era accaduto in Argentina col generale Juan Domingo Peron che si era comportato in modo analogo e, sappiamo che l’anno successivo fece una operazione analoga anche Nasser in Egitto. Gandhi aveva ottenuto l’indipendenza dell’India, già nel 1947.

Determinante centrali economiche, non accettarono il fatto compiuto e la CIA, coadiuvata dai servizi britannici, organizzò un golpe con la scusa dell’anticomunismo che, in periodo di maccartismo era un’ ottima scusa. L’operazione fu denominata Ajax, ed il petrolio fu gestito da un consorzio anglo-americano

Come paravento alla dittatura fu posto lo Scià per dare una parvenza di legittimità all’operazione, personaggio che si presto’ al gioco compromettendo il trono del Pavone agli occhi dell’anima profonda dell’Iran. Regnarono, infatti, corruzione, terrore poliziesco, sottosviluppo e miseria.

Questa premessa rende chiaro su quale humus e nata la rivoluzione islamica della repubblica

Oggi gli occidentali, appoggiandosi ad Israele, sembra che stiamo tentando di restaurare l’antico regime. Infatti l’operazione di Netanyahu si chiama non a caso “Leone nascente” con chiara allusione al leone simbolo del regime dello Scià. La dottrina per attuare il piano, invocata da molti, è sempre quella del Regime Change, tanto da parlarne apertamente sia in ambienti politici internazionali, sia nei talk show, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Il ragionamento elementare è questo: anche se l’Iran non ha l’arma nucleare, ha le capacità scientifiche per farla in un futuro

Allora, dato che non possiamo uccidere tutti gli scienziati, dobbiamo cambiare regime. Poi subentra un vecchio politico di nome Martelli che dice come fosse la voce della saggezza che l’arma nucleare la devono avere solo le democrazie e non le autocrazie, perché queste ultime le utilizzerebbero.

Un inaspettato estimatore del regime change si è rivelato il giornalista Rampini con un recente articolo sul Corriere della sera

Scordando che gli unici ad averla utilizzata sono stati gli americani. Un inaspettato estimatore del regime change si è rivelato il giornalista di Sinistra Rampini con un articolo sul Corriere della sera.

La prima volta che questa “dottrina” del regime change, vede la luce con l’elaborazione teorica di Jeane Kirkpatrick, un ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite al tempo della presidenza Reagan.

In quel caso viene teorizzato apertamente l’intervento negli affari di altri Paesi per cambiamenti di regime. In seguito, dopo Reagan, con i neocon si aggiunge la dottrina Bush che prende come scusa la lotta al terrorismo per cambiare regimi che col terrorismo denunciato, non c’entravano niente, ma erano realtà molto scomode di cui sbarazzarsi

Alcuni studiosi hanno preso in esame anche altri fenomeni come la Primavere arabe, avvenute tra il 2010 e il 2011, con cui certi poteri, anche con l’ausilio di alcune Ong, hanno fomentato disordini arrivando a distruggere lo Stato libico fino all’esecuzione del linciaggio di Gheddafi.

Inoltre, le stesse Primavere arabe, hanno aperto la strada all’ISIS e al Califfato, che riesce a circondare Assad nella sua stessa capitale Damasco, fino alla sua rimozione dopo anni.

Anche questi sommovimenti sembra fossero stati causati dal regime change frutto della politica estera statunitense. Tentativi di regime change sono state indubbiamente le cosiddette rivoluzioni colorate.

Queste “rivoluzioni” consistono in movimenti di piazza localizzati nei Paesi dell’ex URSS, approfittando della fragilità dei nuovi governi del momentaneo vuoto di potere a causa di governi ancora deboli

I pretesti erano sempre i soliti. Protesta contro la corruzione, contro il caro vita, contro la disoccupazione, e richiesta di maggiori libertà individuali. Sono pretesti talmente generici che potrebbero essere adattati per qualsiasi Paese del mondo.

Le richieste delle Primavera erano talmente simili con quelle delle rivoluzione colorate da far sospettare la regia di un’unica mente

Le primavere arabe hanno avuto il solo risultato di creare destabilizzazione in tutta l’area e aver tenuto a battesimo il terrorismo. Dopo questa panoramica un interrogativo nasce su fatti a noi maggiormente vicini.

Ricordiamo il tentativo fallito del golpe contro Erdogan, originato negli USA che voleva ripetere quello avvenuto in Cile decenni prima

Qualcuno a suo tempo si è domandato se anche il nostro Paese potesse aver subito un’operazione ispirata al regime change. Se lo è chiesto anche l’agenzia di informazione Dagospia. A tal proposito ha fatto una inchiesta riportando un racconto dell’informatissimo notabile democristiano Cirino Pomicino il quale narra apertamente che nella primavera del 1991 venne a trovarlo l’ingegner Carlo De Benedetti, il quale spiegò che, con altri imprenditori legati al salotto buono di Enrico Cuccia, avrebbe voluto modificare gli assetti politici del Paese e spostarli verso i post comunisti che avevano fondato il PDS. Da notare che è lo stesso anno del crollo dell’Unione Sovietica, disintegrazione che fu foriera di molti altri importanti sommovimenti geopolitici.

Sempre Pomicino, riporta che al forum di Cernobbio si accorse che i poteri forti, avevano abbandonato la DC. Poi, in seguito, dal giugno del 92, Gerardo Chiaromonte, esponente del vecchio PCI, fece sapere a Pomicino che il partito aveva scelto la via giudiziaria

Gherardo Colombo, colpito sul vivo, dalla narrazione, non smentisce, ma afferma solo che ci vogliono le prove.

I regime change hanno diverse sfumature e possono anche agire con agenzie di rating, aiutandosi, con lo spread, o con la borsa.

Oppure con i bombardamenti sulla Serbia, o anche con un muro di Berlino che invece di cadere dietro i colpi della folla, viene rimosso con dei caterpillar della stessa DDR, dopo ordini intercorsi per telefono tra le cancellerie di Pankow, di Berlino ovest e di Mosca.

In questi giorni il regime change è tornato di attualità insieme alla guerra preventiva e alla “democratizzazione”

In tavole rotonde abbiamo sentito “esperti” che parlavano di rimuovere la teocrazia per sostituirla eventualmente, più realisticamente, con una giunta militare.

Esattamente come dopo la deposizione di Mossadeq

Ricordiamo che con lo Scià esisteva un analfabetismo con percentuali altissime, vicino all’80%.

Oggi sappiamo che le presenze femminili nelle università di ingegneria iraniane sono in assoluto quasi appena la metà di quelle di tutte le università statunitensi in termini assoluti.

Le donne inoltre si trovano in altissima percentuale in ogni professione. In effetti portano il velo ma oggi fanno anche il chirurgo.

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Tags: GUERRAIN EVIDENZAIRANIRAQOCCIDENTE
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