La sindrome di Dorian Gray
Appartengo ad una generazione che, con la passione della libertà e forse l’ingenuità della giovinezza, ha coltivato il sogno di una Europa unita. Fondata sulla Politica, e portatrice di pace, democrazia e benessere.
Era l’Europa, liberale e riformista, del welfare e della cooperazione internazionale, e del libero mercato mitigato da una programmazione dello sviluppo secondo finalità di carattere sociale
Era l’Europa che alimentava la propria composita identità attraverso la forza delle tradizioni culturali e degli assetti istituzionali dei vari Stati che la componevano. Era l’Europa modernizzatrice alla quale volevamo agganciare definitivamente l’Italia, «aggrappandoci alle Alpi» come si diceva allora.
Ma quel sogno col tempo si è dissolto, fino ad infrangersi completamente sulla realtà di una Unione Europea fondata esclusivamente sul Mercato.
Una Unione Europea che, dopo Maastricht, si è fatta strumento della finanza internazionale e alfiere della globalizzazione
Che ha deindustrializzato la nostra economia, impoverito l’intera società inseguendo ideologie green, e incentivato l’immigrazione clandestina per avere un esercito del lavoro di riserva in modo da tenere costantemente bassi i salari.
Facendo della compressione di questi ultimi lo strumento principale della competitività interna al mercato europeo. Per non parlare, infine, del fatto che la globalizzazione ha anche massacrato la base sociale della democrazia: e cioè il ceto medio.
Per cui oggi l’Unione Europea appare come un mostro burocratico governato da una Commissione che risponde unicamente ai fondi finanziari internazionali e alle due più potenti lobby del pianeta: quella farmaceutica e quella militare
Un nuovo Leviatano che ha divorato gli ideali di libertà e democrazia, atteggiandosi ad una sorta di Super-Stato illiberale e totalitario. Pronto a censurare chiunque abbia un pensiero diverso da quello ufficiale: sia che si tratti di comuni cittadini che di Stati membri. È una Unione Europea che ha sostituito la volontà di pace con la volontà di guerra, com’è dimostrato anche dalla cinica scelta di un riarmo generale ad esclusivo beneficio dei mercanti d’armi.
È una Unione Europea che, all’insegna della ambiguità, ha perfino creato un suo particolare lessico: pervertendo il significato stesso di concetti come quello di “riforma”
Che, da incentivo migliorativo del meccanismo di sviluppo, è diventato sinonimo di tagli al sistema sociale. Per non parlare dei “piani di sviluppo” sostituiti dai “piani di resilienza”. Termine, questo, derivato dalla fisica (e non dall’economia) che la dice lunga sui reali intenti perseguiti.
Poiché definisce la «capacità di un materiale di ritornare alla forma primitiva dopo essere stato deformato».
Ossia la capacità di adattarsi, in peggio e al peggio.
La verità è che l’Unione Europea, nel tradire l’originario sogno europeista, ha clamorosamente fallito, sia sul piano economico che politico
Considerata ormai superata, e quindi inutile quando non dannosa (alla stregua dell’Onu e della NATO), essa è diventata assolutamente marginale nel nuovo ordine che va faticosamente nascendo dall’attuale disordine mondiale. È dalla presa d’atto del fallimento dell’Unione Europea che bisogna pertanto ricominciare.
Per ricostruire comunque una specie di armonica comunità europea. Ripercorrendo sì l’antico sentiero ideale, ma prendendo pure nuove strade
Che passano dalla valorizzazione della sovranità degli Stati, dal rispetto delle tradizioni culturali e religiose dei popoli; e dagli interessi reali di una economia che abbisogna di energia a basso costo per far ripartire ciò che resta del proprio sistema produttivo, senza dover ricorrere alla droga del riarmo. Nel nuovo ordine mondiale l’Europa non potrà mai contare unicamente in base alla forza economica e militare.
Perché ben altre potenze la superano di gran lunga, e con un divario ormai incolmabile
No, l’Europa potrà contare solo se saprà imitare su di un piano continentale il modello elvetico, creando un grande spazio di scambi commerciali e culturali aperto al confronto e alla collaborazione con tutti gli attori di un mondo sempre più multipolare. Una Confederazione rispettosa della identità dei suoi Stati membri e della sua acclarata neutralità, fermo restando la confermata collocazione ideale e politica in campo occidentale.
Come è attualmente, sia pur in piccolo, la Svizzera
La forza vera dell’Europa, il suo soft power, non sta nelle armi bensì nella sua storia. Nel suo pensiero filosofico e scientifico, nella sua arte e cultura, nel suo senso estetico e nel suo gusto dell’innovazione, nella sua capacità di commerciare idee e prodotti; e nella sua promessa di una vita comune in pace.
Ma il punto di partenza di questo cammino rimane, come dicevo, la presa d’atto del fallimento dell’Unione Europea.
Con tutto ciò che ne consegue in termini di cambiamento
A cominciare dal rifiuto della stantìa retorica che dipinge l’Unione come il sacro luogo di ogni bene e virtù, come il santuario della libertà e democrazia. Una retorica bolsa, che cozza drammaticamente con la cruda realtà ed il cui tasso di ipocrisia è divenuto francamente insopportabile.
Una retorica che per meglio abbindolare gli sprovveduti si colora di gender, ammantandosi peraltro del solito antifascismo di maniera con tanto di Manifesto di Ventotene al seguito
Tutta roba vecchia e decontestualizzata, che serve a confondere e a spostare il dibattito dalla realtà dei problemi alla irrealtà della ideologia. Ora che la Von der Leyen utilizzi tale retorica per il proprio potere è assai comprensibile, un po’ meno che lo faccia la Sinistra.
Anche se va ricordato,a tal proposito, che all’indomani della caduta del Muro di Berlino la Sinistra ha subito abbandonato il riferimento internazionale dell’Unione Sovietica per passare disinvoltamente e acriticamente a quello dell’Unione Europea.
In una sorta di conversione di massa che, per dare un’idea, ricorda vagamente quella di secoli orsono quando intere tribù germaniche guidate dai loro capi abbracciarono d’un colpo la fede cristiana
E così la stellata bandiera blu dell’Unione ha sostituito la rossa bandiera con falce e martello nel cuore dei militanti, che amano oggi definirsi europei più che italiani. Il che è ridicolo, ma dà la misura dell’atteggiamento mentale di una Sinistra che prende sempre a riferimento una entità sovranazionale in polemica con l’Italia.
E che per questo cambia tanto facilmente “patria ideologica”: passando superficialmente, nel nostro caso, dall’URSS alla Unione Europea
Se poi attendete una spiegazione convincente del passaggio dal socialismo reale all’europeismo iperliberista e globalizzante, beh aspetterete invano. Poiché i contenuti vengono sostituiti da banali parole d’ordine tipo «più Europa, meno Italia», che, nella loro inconsistenza, testimoniano solo la passiva adesione al progetto dell’Unione Europea e al pensiero dominante dei padroni della finanza internazionale.
Né potrebbe essere diversamente visto che la Sinistra è passata dal Comintern all’Unione Europea senza soluzione di continuità. Senza cioè un’autentica riflessione storica e un profondo dibattito politico.
Del resto l’importanza del contrasto tra il sogno europeista e la sua fallimentare realizzazione tende a sfuggirle
Proprio perché a suo tempo non coltivò l’originario sogno di una Europa unita, impegnata com’era a celebrare altri miti e ad onorare altri dei che hanno fallito. Diverso il caso di tanti della mia generazione che hanno invece sinceramente sognato l’unità dell’Europa e che vivono con disagio il contrasto, per certi versi drammatico, tra il loro sogno e la realtà delle cose.
Perché essi preferiscono fuggire la realtà per ancorarsi tenacemente e disperatamente al sogno: al sogno com’era e non come è diventato. Si rifiutano di alzare il velo dell’ideologia proprio per timore di vedere la triste realtà di un sogno deteriorato, sia moralmente che esistenzialmente
Non possono e non vogliono ammettere che il loro sogno sia invecchiato e abbia perso bellezza e verità. È la sindrome di Dorian Gray. Malattia purtroppo diffusa in questa nostra malandata e declassata Europa. Che Trump abbia pietà di noi!
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