Somalia, 2 luglio 1993. Onore ai Caduti nella “battaglia del pastificio”

Somalia

Somalia – Il 2 luglio del 1993, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, le forze armate italiane, inquadrate in quell’occasione nel contingente ONU in Somalia, si ritrovarono impegnate in una vera e propria battaglia. 

I FATTI

Siamo a Mogadiscio e il fatto d’armi è passato alla storia come battaglia del “Check point Pasta”.  L’ex colonia italiana è lacerata da carestie e scontri armati tra i diversi clan che compongono l’eterogenea popolazione del martoriato paese. L’ONU decide di intervenire per porre rimedio e stabilizzare la regione. A questa missione, data l’ottima conoscenza del contesto, partecipa anche l’Italia. Insieme ai nostri ci sono Stati uniti, Pakistan, Belgio, Nigeria, Malesia, India, Australia, EAU.

Siamo il secondo contingente più numeroso dopo quello americano: più di 800 uomini con veicoli corazzati VCC-1, blindo “Centauro” e carri M60 col supporto dell’incrociatore Vittorio Veneto, della fregata Grecale, del rifornitore Vesuvio e delle LPD San Giorgio e San Marco oltre a numerosi elicotteri da trasporto e, per la prima volta, 3 elicotteri da attacco A-129 “Mangusta”. Questa prima fase dell’operazione  si tenne dal 4 dicembre 1992 al 4 maggio 1993.

Il nostro contingente è comandato dal Generale di Brigata Bruno Loi, che riesce, a differenza di americani e pakistani, a destreggiarsi con successo nel dedalo di clan rivali di Mogadiscio. Riesce ad ottenere ottimi risultati favorendo il dialogo tra le parti, questo anche grazie all’eccellente lavoro della nostra intelligence militare, abile nel preparare il terreno con efficacia.  Qualcosa però si rompe quel tragico 2 luglio 1993, complice il pregresso atteggiamento aggressivo degli statunitensi con la gente del luogo.

L’OPERAZIONE CANGURO 11

Alle prime luci dell’alba prende il via l’operazione «Canguro 11» da parte delle truppe italiane. L’operazione del comando consiste in un rastrellamento alla ricerca di armi effettuato da due colonne meccanizzate nel quartiere Haliwaa, intorno al posto di blocco denominato «pasta», perché posto nei presso di una fabbrica della Barilla abbandonata. L’azione scatta alle 6 del mattino e rivela subito alcuni nascondigli con molte armi. E’ già alla fine verso le 9,30, quando la popolazione del quartiere incomincia a riversarsi in strada, aizzata da miliziani somali che si fanno scudo della gente. Inizia così una fitta sassaiola contro i blindati che stanno percorrendo la via Imperiale per il rientro alla base. In pochissimo tempo vengono alzate delle barricate davanti ai cingolati italiani, bloccati e fatti oggetto di colpi di fucili, mitra e razzi anticarro.

Inizia così un conflitto a fuoco che durerà diverse ore, con i nostri soldati in inferiorità numerica, letteralmente assediati, impegnati in una resistenza eroica. La «battaglia del pastificio» si risolverà soltanto alle 17.30, con l’intervento pesante dei carri armati dell’Ariete e degli elicotteri che consentiranno lo sganciamento delle truppe italiane ancora coinvolte. La «Canguro 11» si chiude con il pesante bilancio di 3 morti e 24 feriti. 4 le Medaglie d’Oro al Valor Militare conferite. 

GLI EROI

Stefano Paolicchi, classe ’63, Sergente Maggiore, incursore del 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin”. Venne colpito alla milza, in uno dei pochi punti non protetti dal giubbetto antiproiettile. Pur ferito, continuò il combattimento mirato a liberare dall’accerchiamento alcuni militari italiani, caduti in un’imboscata tesa da centinaia di miliziani somali. Persa conoscenza, venne trasportato all’ospedale di Mogadiscio dove spirò.

Pasquale Baccaro, classe ’72, Soldato, paracadutista di leva effettivo alla XV Compagnia Diavoli Neri del 186º Reggimento paracadutisti “Folgore”. Si trovava a bordo di un veicolo trasporto truppe OTO Melara VCC-1 Camillino. A fine rastrellamento il veicolo ripiegò verso Balad (base del reggimento), ma a seguito dell’inasprirsi della battaglia che ne susseguì immediatamente, venne ordinato allo stesso di rientrare a Mogadiscio. Arrivato in prossimità dell’incrocio tra la via Imperiale e la via XI Ottobre, poche decine di metri dopo il Checkpoint Pasta, il veicolo fu colpito da un razzo RPG-7. Il paracadutista, gravemente ferito alla gamba sinistra dall’esplosione, morì dissanguato dopo pochi minuti.

Andrea Millevoi, classe ’72, Sottotenente dell’ 8º Reggimento “Lancieri di Montebello”. Terza e ultima vittima della giornata, ucciso dal colpo di un cecchino mentre, sporto dalla torretta del suo “Centauro”, fa fuoco con la mitragliatrice da 12,7 mm per coprire il disimpegno dei soldati italiani.

Gianfranco Paglia, classe 1970, Paracadutista in servizio presso il 186º Reggimento paracadutisti “Folgore”. Durante l’azione fu colpito da tre pallottole mentre cercava di portare in salvo l’equipaggio di uno dei blindati immobilizzati. Una arrivò al polmone causando un’emorragia interna, un’altra giunse al midollo spinale immobilizzandolo.

Proprio lui, questa mattina, sulla propria pagina Facebook ha voluto celebrare il ricordo di quel 2 luglio in Somalia, con parole che inorgogliscono ogni italiano degno di definirsi tale.

Le riportiamo integralmente.

Quando si digita su google 2 luglio 1993, si apre un mondo.

Pagine e pagine che raccontano ciò che accadde in Somalia durante la Battaglia del Pastificio. Pagine di storia che fotografano il primo e vero scontro a fuoco in cui soldati italiani rimasero coinvolti dopo la seconda guerra mondiale.

Da allora sono trascorsi 27 anni e tante cose sono cambiate, in primis l’assetto geopolitico e il modo d’intendere un conflitto che non è più uomo contro uomo, ma molto spesso ci troviamo a combattere contro un nemico invisibile. Un nemico che era fin troppo chiaro, invece, quel 2 luglio. Ci eravamo probabilmente avvicinati a quello che era considerato il signore della guerra Aidid e per questo motivo una rappresaglia formata da donne e bambini iniziò con sassate a bloccare i nostri mezzi, proprio nei pressi del Checkpoint Pasta.

Ciò che accadde è noto, basta davvero leggere quanto per anni è stato scritto per capire e percepire il dolore nel non essere riusciti a portare in salvo tutti i nostri uomini. Stefano Paolicchi, Pasquale Baccaro, Andrea Millevoi persero la vita durante il conflitto a fuoco. Ci furono 24 feriti. Da allora è stato scritto e detto tanto anche da chi forse avrebbe fatto meglio a rimanere in silenzio. Ciò che non deve mai svanire e dovrà sempre essere vivo è il desiderio di ricordare coloro che combattendo non ce l’hanno fatta. Chi ha indossato o indossa l’Uniforme sa che giurare fedeltà alle Istituzioni e alla Bandiera significa sacrificio e talvolta il prezzo da pagare è molto alto.

Questo è il motivo per cui non mi stancherò mai di dire che le Forze Armate non sono un ufficio di collocamento. Chi si avvicina lo deve fare con convinzione perché crede in quei valori che ti consentono di essere Servitore dello Stato, costi quel che costi.

In quella giornata del 2 luglio si è combattuto tanto. I ragazzi che allora erano di leva, oggi sono uomini cresciuti con maggiore forza e determinazione e ciò li ha resi Uomini Veri. Sono speciali perché non hanno mai dimenticato coloro che sono rientrati in Italia in una bara avvolta dal Tricolore. Sono unici ben consapevoli che quanto accaduto li ha resi fratelli in armi: un sodalizio che li vedrà uniti per sempre. Pronti a combattere ogni tipo d’avversità che incontreranno nella loro vita, lo faranno con la piena certezza di non essere mai soli e di poter contare sempre sui propri Fratelli. Onore a Loro”

Onore a Voi, tutti. Nobili combattenti della nostra Italia.

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