Uscire in zona rossa non è reato. Si susseguono le sentenze contro i DPCM

La sentenza di un giudice di Reggio Emilia assolve una coppia che era uscita durante il primo lockdown dichiarando il falso

Dpcm

Una coppia esce durante il primo lockdown stabilito dal DPCM Conte.

Fermata dai Carabinieri dichiara nella autocertificazione il falso e viene imputata.

Il risultato è che nonostante la falsa autocertificazione non sono colpevoli.

I precedenti

Il Tribunale Civile di Roma l’anno scorso aveva già emesso una sentenza che era una vera mazzata all’exPresidente del Consiglio. Oltre a perdere la credibilità politica, egli aveva esaurito anche quella “giuridica”.

La sentenza era del 16 dicembre scorso. La sesta sezione del Tribunale di Roma si pronunciava statuendo che le libertà costituzionalmente garantite non possono essere compresse per il tramite di DPCM, che sono semplici atti amministrativi.

Nell’affermarlo si rifaceva a grandi costituzionalisti quali Cassese, Marini e Baldassarre, ma anche ad una sentenza in tal senso del Giudice di Pace di Frosinone e un’ordinanza del TAR del Lazio.

DPCM illegittimo

Che un DPCM, atto amministrativo di nessuna forza del legge non potesse creare fattispecie criminose era pacifico.

E che il Professor Conte avesse commesso in un primo momento un errore così marchiano era onestamente inspiegabile. Ci aveva lasciato perplessi.

Ma che addirittura dichiarare il falso ai sensi del D.Lgs 445/2000 fosse motivo di assoluzione è una interpretazione nuova.

Ma le motivazioni del Giudice di prima istanza paiono condivisibili e brillanti.

Il giudice di Reggio Emilia praticamente ragiona così: se il DPCM è illegittimo, la sua illegittimità fa decadere anche il motivo per cui si dichiara il falso, rendendo tale condotta non rilevante.

Ho volutamente semplificato, per rendere la questione giuridicamente comprensibile.

La sentenza

Il giudice del tribunale di Reggio Emilia ha prosciolto la coppia che in pieno lockdown e in zona rossa era uscita di casa senza valido motivo. Anzi aveva dichiarato una ragione che è risultata inventata e fasulla.

I due erano stati fermati dai Carabinieri per un controllo e avevano esibito un’autocertificazione in cui c’era scritto che la donna doveva fare delle analisi urgenti e l’uomo, un suo amico, la stava accompagnando.

Non era così: i militari dell’Arma hanno accertato che non erano mai stati in ospedale.

Denunciati entrambi e finiti sotto processo per il reato di falso ideologico in atto pubblico che prevede una pena fino a due anni di reclusione, sono stati assolti con la formula «perché il fatto non costituisce reato».

Il giudice afferma che il reato non è configurabile in quanto si tratta di un «falso inutile» e, a ben vedere, non ci sarebbe alcun valido divieto di spostamento imposto ai cittadini. Anzi, il Dpcm (si trattava del primo Decreto emanato dal premier Conte, quello dell’8 marzo 2020) è incostituzionale e quindi illegittimo.

La sentenza spiega che, secondo la Costituzione, le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad un atto dell’autorità giudiziaria e non possono essere disposte da un atto amministrativo.

E a questo ci arrivava anche una matricola di giurisprudenza.

Il Decreto emanato dal presidente del Consiglio non è una legge. Non ha tale forza e non soddisfa la cd. “Riserva di Legge”. Solo i provvedimenti aventi tale valenza (leggi ma anche Decreti Legge e Decreti legislativi) possono creare nuovi reati.

Inoltre, le restrizioni al fondamentale diritto di libertà devono essere disposte «nei casi e modi previsti dalla legge» e dunque non con limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale.

Quindi «l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini» non risulta giustificabile.

 

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