Tutti in piazza: per la libertà? No, per il calcio

La festa scudetto dell'Inter come fotografia delle priorità di un popolo

Calcio

Il calcio smuove le masse e le coscienze. Anche in epoca Covid. In Italia è così, facciamocene una ragione.

A Napoli per la morte di Maradona, come a Milano per lo scudetto all’Inter.

Nord, Sud, centro: la geografia non c’entra.

È questione delle priorità, per un popolo che si ricorda del Tricolore e della Libertà solo in tema pallonaro.

Per il resto il nulla risulta pervenuto.

Un anno di reclusione

È più di un anno che siamo privati della libertà. A ragione o torto è così.

Abbiamo abdicato al nostro diritto costituzionale più sacro (più della salute), per non ammalarci.

Una volta ci si immolava per la libertà.

Ora è il contrario. Ci rinchiudono per non ammalarci.

Immolarsi o ammalarsi? Giammai!

A meno che non si tratti di calcio: ah, allora tutti pronti a combattere senza mascherina ed in piazza. Tutti leoni a sfidare il potere.

Che popolo triste.

A Milano trentamila in piazza per il calcio

Trentamila tifosi si sono riversati domenica per le vie del centro a Milano. Era prevedibile, c’erano pure le transenne, in Piazza Duomo.

Non è bastato l’appello dell’Inter a “festeggiare in sicurezza e responsabilmente”.

Al fischio finale di Sassuolo-Atalanta, decine di migliaia di tifosi si sono riversati per le vie del centro di Milano, riempiendo piazza Duomo prima e Largo Cairoli poi, per celebrare il trionfo di Lukaku e compagni.

Uno scudetto atteso da undici anni che ha fatto esplodere la gioia della tifoseria nerazzurra, che ha, tuttavia, scatenato polemiche, visto il periodo della pandemia.

Polemiche strumentali e di parte, ma una volta tanto sono da destra contro l’insopportabile sindaco Sala, e quindi chiuderemo un occhio.

E allora ecco il presidente leghista della Lombardia Fontana che grida agli  “Assembramenti prevedibili e pericolosi“. E rimbrotta il Sindaco di sinistra Sala, togliendosi al contempo un bel po’ di sassolini dalle scarpe.

“Era probabile che eventi del genere si potessero verificare. L’importante è che non si verifichino più. Bisogna chiedere alle persone il rispetto delle misure di sicurezza. Mi auguro e spero che non aumentino i contagi, ma questo lo potremo dire tra due settimane”.

Gli fa eco Locatelli del Cts. Lui non è di destra, ma deve difendere la linea oltranzista del governo in tema di distanziamento sociale.

La gioia la si può comprendere però credo che su di essa debba prevalere il senso di responsabilità: 121mila morti devono averci insegnato qualcosa. Onorare la loro morte vuol dire evitare assembramenti”.

Il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli non si astiene da strumentalizzazioni e la butta sul patetico come si vede.

Il problema autentico non è questo, né lo sono le occasioni di assembramento.

Quello è il dito che indica la Luna.

Il problema è che in piazza non ci si va per i nostri diritti violati, umiliati e calpestati da più di un anno.

Ma per il calcio.

Perché la vita, in fondo, è solo una questione di priorità. E domenica dimostra che se decine di migliaia di persone uscissero, le multe scomparirebbero dinanzi alla folla, giusto o sbagliato che sia. Ma sono scelte da popoli maturi e valorialmente strutturati. E non lo siamo.

Detto questo, noi, nel nostro piccolo, una promessa la facciamo: per la auspicata ed auspicabile salvezza della Fiorentina, in piazza a festeggiare, non andremo.

Ma questa è più una questione di pudore e dignità.

 

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