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Testimonianza di una donna che ha abortito 

di Redazione
8 Dicembre 2025
In Attualità
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Testimonianza di una donna che ha abortito 
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Testimonianza di una donna che ha abortito

Riceviamo e pubblichiamo 

Gentile Direttore,
desidero inviarvi una lettera che ho mandato al blog dell’UAAR, Unione atei agnostici razionalisti, in risposta ad un loro articolo (”Sindrome post aborto secondo il Comitato Pro-life insieme: quando la fede incontra la pseudoscienza”) di commento ad una nostra replica che si può leggere sul sito del Comitato “Pro-life insieme“, del quale faccio parte (https://prolifeinsieme.it/pma-negare-la-sindrome-post-aborto-significa-spezzare-il-cuore-della-donna/).

La narrazione ormai stereotipata su quasi tutte le testate, in particolare quelle orientate contro la famiglia naturale, contro la femminilità accogliente e generativa, contro il bimbo prima della nascita, confligge fortemente con la mia esperienza di dolore, comune a quella di migliaia di donne che hanno abortito

Sono consapevole del fatto che una testimonianza così lunga poco si presti alla pubblicazione per intero su testate come la vostra, ma ve la invio comunque, perché ho a cuore la verità in merito all’argomento dibattuto, la ‘fantomatica’ sindrome post aborto.

“Mi chiamo Daria, e ho abortito il mio primo figlio all’età di 20 anni. Si trattò di una procedura di aborto chirurgico, fatta in anestesia totale e in regime di day hospital: entrai in ospedale la mattina e uscii ‘ripulita’ nel pomeriggio, senza apparenti complicanze a livello fisico.
A livello psicologico però ero devastata: ero entrata in quella sala chirurgica con la viva speranza di morire nell’intervento, che poi ho dopo appreso essere stata la procedura di isterosuzione, penso eseguita con successivo raschiamento della cavità uterina. Poco probabile che il mio desiderio potesse esaudirsi, ad ogni modo sicuramente morì la creatura che portavo in grembo, che non ero stata capace di difendere contro tutto e tutti, quando io ero l’unica che voleva che lei vivesse, mentre il mio fidanzato e i miei genitori erano tutti concordi per farla fuori.

Vedete, i fattori che spingono una donna a scegliere di abortire sono innumerevoli, sicuramente vi è in gioco la libertà personale, ma vi siete mai chiesti in quanti casi e quanto influiscano i condizionamenti psicologici esterni?

Nel mio caso, che è alquanto frequente, e dopo vi spiegherò perché posso dirlo a ragion veduta, io avevo subito una vera e propria violenza psicologica, nello specifico da mia madre, e fui abbandonata dal padre del bambino e da mio padre alla ‘scelta’, che inevitabilmente fu di sottoscrivere la liberatoria per l’IVG. Banalmente non trovai la forza di fuggire di casa e di andare a bussare a una qualsiasi chiesa, che non frequentavo, o a chiedere aiuto a qualche associazione di ‘fondamentalisti’ pro-life, che non conoscevo.

Ero stata col mio fidanzato al consultorio, dove delle ostetriche carine e gentili ci avevano incoraggiato a tenere il bambino, dicendomi che anche loro avevano avuto figli da giovani e che un bambino è la cosa più bella, ma non mi fu fornita nessuna informazione sull’esistenza di associazioni che aiutassero le madri in difficoltà, né nessun aiuto concreto; un atteggiamento decisamente poco professionale, ma forse già nel 2000, anno del mio aborto, pareva sconveniente indirizzare una donna insicura ad un Centro di aiuto alla vita, che me la vedessi da sola

Oggi poi, apriti cielo spalancati terra se i movimenti pro-life entrano nei consultori! Probabilmente anche quelle ostetriche gentili non direbbero più quelle semplici parole di incoraggiamento ma si affretterebbero a firmare il foglio per avviare la procedura senza dire alcunché, onde evitare di essere messe all’indice da chi, come voi, ritiene che l’interruzione volontaria di gravidanza sia un affare esclusivo della donna, un suo diritto inalienabile, e che non comporti minimamente alcuna ingerenza esterna né tantomeno alcuna conseguenza.

Tornando a me, dopo l’aborto caddi in una profonda depressione, probabilmente una depressione maggiore, non diagnosticata né curata perché ai miei genitori, risolto ‘il problema’, del mio benessere psicologico importava il giusto. Con il mio fidanzato nell’arco di poco più di un anno ci lasciammo, nonostante fosse stato un grandissimo amore: il mio malessere, testimoniato da innumerevoli pagine del mio diario segreto, ci riportava sempre all’aborto, anche lui vedendomi soffrire e non sapendo come aiutarmi cominciò a stare male a sua volta, e la nostra storia finì

A distanza di poco tempo conobbi un altro ragazzo, col quale mi fidanzai e rimasi per 7 anni e mezzo; pian piano tornai a stare apparentemente bene, ma dopo circa sei anni di fidanzamento gli raccontai del mio aborto, e nel giro di un anno lui, che era innamoratissimo di me, cambiò, trovò un’altra che frequentò in parallelo per qualche mese e poi mi lasciò, quando già avevamo iniziato a programmare di sposarci.

A quel punto il dolore per l’aborto riesplose: stavo malissimo, ci pensavo di continuo, vedevo crollati i miei sogni di maternità e di famiglia, non trovavo pace

Una forte infatuazione non corrisposta fu la miccia che innescò, in quell’humus di sofferenza, l’esplosione di una malattia psichiatrica che avrebbe devastato la mia vita: nel 2011 impazzisco, con dei deliri che si alternavano a stati depressivi, e a distanza di due anni, dopo un ennesimo delirio per cui fui ricoverata a Psichiatria a Pisa, nel reparto ad alta contenzione, mi viene diagnosticata una malattia psichiatrica, il disturbo bipolare.

Ora, pensate quello che volete, io prima dell’aborto ero stata una bambina serena e felice, poi un’adolescente equilibrata e ben inserita, quindi una ragazza innamorata e sicura di sé, non avevo mai avuto problemi di ordine psicologico fino alla depressione post aborto, né nella mia famiglia ci sono casi di malattie psichiatriche; insomma il quadro della mia malattia psichiatrica non può essere ascrivibile se non all’unico evento traumatico e tragico della mia vita, l’aborto procurato

Anche mio padre, medico, nel momento di congedarsi da me prima del ricovero nel reparto ad alta contenzione di Psichiatria, mi abbracciò in lacrime e mi chiese perdono per l’aborto, evidentemente conscio di come i miei problemi originassero da quell’evento.

Vi racconto un aneddoto molto significativo, secondo me, utile a comprendere in parte il perché del mancato riconoscimento da parte della comunità scientifica dell’esistenza di una sindrome post aborto: in occasione di quel ricovero, dopo una settimana nel reparto ad alta contenzione, superata la fase delirante, fui trasferita nel reparto a bassa contenzione e lì due giovani ricercatori, un ragazzo e una ragazza, mi presentarono un questionario finalizzato ad una ricerca che indagava le possibili cause pregresse all’origine del disturbo psichiatrico. A quel punto ero rientrata in me e ricordo bene che il questionario conteneva numerose domande sulla mia vita precedente, ma non riportava nessuna domanda sull’eventuale esperienza di IVG. Mi rivolsi dunque ai due ricercatori e gli chiesi perché non inserissero anche quella dell’aborto volontario come causa remota da indagare; si guardarono fra loro e il ragazzo disse alla ragazza “sì, inseriamola, ma senza dirlo al professore”.

Il re è nudo! Quella risposta, che porto impressa e che è per me lapalissiana, racconta di come buona parte del modo della ricerca scientifica sia ideologicamente prevenuto verso l’indagine stessa delle possibili conseguenze psicologiche dell’aborto, figuriamoci quindi come si potrebbe arrivare a diagnosticare un disturbo specifico se nemmeno se ne indaga l’eventuale esistenza

Il professore che doveva essere tenuto all’oscuro di quel quesito, sicuramente non ne avrebbe accettato l’inserimento nel questionario, e non dubito che sia in buona compagnia.

Carissimi, quella dell’aborto è una battaglia ideologica fatta sulla pelle delle donne. Io mi chiedo, ma cosa ne viene a voi di male se prima di un intervento così invasivo – anche a livello fisico, e l’aborto farmacologico non è da meno checché se ne creda – si informa della ‘possibile’ insorgenza di una conseguente sofferenza psicologica o addirittura dell’eventualità di problemi psichiatrici?

Voi dite che sia lo stigma sociale, eventualmente, o le “pressioni psicologiche di organizzazioni religiose”, a poter determinare una qualche forma di depressione in seguito a un’IVG, ma la coscienza dove la mettete? Il fatto inevitabile che una donna che ha abortito sarà per sempre conscia che il proseguo della sua vita dopo l’IVG è inscindibilmente connesso con la mancata vita di un altro essere umano, che per inciso è suo figlio, secondo voi è assolutamente irrilevante per l’equilibrio della psiche? Perché, se anche non volete riconoscere la dignità di essere umano al concepito, è indubbio che senza l’interruzione il ‘grumo di cellule’ si sarebbe evoluto in una persona, non in un criceto o in un cactus.

E basta questo, che non è un pensiero, un’idea, ma un dato di fatto scientifico, perché la donna ‘possa’ soffrire; sicuramente per alcune non ci sarà nessuna conseguenza, potranno dire, come dicono, “ho abortito e sto benissimo”, ma per tante altre le conseguenze possono essere, e sono, devastanti

Questo lo dico a ragion veduta, perché dal 2013 servo come volontaria in una realtà cattolica impegnata nell’ambito del post aborto, che aiuta le persone che soffrono per una pregressa IVG, dopo aver a mia volta partecipato ad un ritiro di tre giorni in cui potei sperimentare una profonda consolazione; in questi anni, nei numerosi ritiri a cui ho partecipato, ho visto passare decine di donne, ma anche uomini, annientate dal dolore, distrutte dai sensi di colpa, con problemi psicologici e psichiatrici, che solo grazie alla fede nel Dio della Risurrezione e all’amore di chi si prende cura di loro ritrovano pace e speranza. Nella maggior parte dei casi sono persone che al tempo dell’aborto non erano credenti o comunque non praticanti, e che si sono convertite o riavvicinate alla fede dopo l’esperienza dell’aborto, ma in alcuni casi sono venute persone tutt’ora non credenti o di altre confessioni religiose.

In molti casi queste persone avevano subito forti pressioni psicologiche, da parte del partner o dei genitori, in numerosissimi altri erano andate ad abortire liberamente, eppure non ho trovato differenze salienti nel loro dolore e nelle frequenti problematiche a livello psicologico: ognuna ha la sua storia ma la sofferenza ci accomuna tutte

Oggi collaboro con numerose realtà pro-life e ho conosciuto più di 100 persone con esperienza di IVG; certo non è un numero statisticamente rilevante, ma posso dire di avere esperienza diretta di numerose altre storie oltre che della mia.

Non è che dal momento che voi non ci vedete o non ci conoscete – anche perché avete una prevenzione di base per le vostre posizioni teoriche – noi donne sofferenti per l’aborto procurato non esistiamo

Siamo tantissime invece, piene di vergogna e timore nel raccontare la nostra storia, consce di come a ben pochi interessi aiutarci, certo non al mondo scientifico che nega il nostro dolore senza nemmeno indagarlo, certo non a voi che parlate di “fallacia” e di “falsa notizia”.

Solo ai pro-life e ai cattolici brutti e cattivi interessiamo, per tirare l’acqua al loro mulino direte voi, io dico perché in queste realtà c’è il buono e il vero, e un dato di fatto non viene negato in nome dell’ideologia, ma ogni persona viene accolta con amore, compassione e comprensione, perché è questo che sta a cuore a chi difende la vita, che nessuno sia lasciato indietro, che tutti possano sperimentare la guarigione del cuore, in ogni ambito delle possibili ferite che ciascuno, inevitabilmente, può subire nel tempo.

L’aborto e le sue conseguenze psicologiche, fra queste ferite, sono probabilmente le più atroci, perché sono le uniche autoinflitte, in cui la donna ha messo il suo nome nero su bianco, e molta parte dell’incomunicabilità del nostro dolore dipende da questo: l’ho scelto io, e ora cosa mi lamento? Non possiamo in fondo accusare nessuno e chiedere giustizia, il che sarebbe in parte un sollievo, perché siamo state noi le carnefici di noi stesse, oltre che dei nostri figli.

Secondo voi questo è irrilevante?

Be’, ci sarebbe così tanto altro da dire, vi basti sapere che io ho rischiato di morire due volte, in quanto nel corso dei miei deliri, e non per istinti suicidi, in un’occasione stavo per lanciarmi dal tetto di casa dei miei genitori e fui ripresa alle spalle da mio padre, in un’altra mi sono pugnalata al petto, ma trovai solo un coltello da bistecca, e grazie a Dio le conseguenze sono unicamente delle cicatrici che però mi ricordano bene la mia storia.

Oggi posso raccontarla perché la Misericordia di quel Dio che voi non riconoscete mi ha guarita, ma quante non hanno ritrovato la speranza e sono morte nel dolore e nel rimpianto? Nella realtà del post aborto con cui collaboro sono venute anche donne di 80 anni, che si portavano dentro questo strazio da decenni

Financo, mi chiedo, quante donne si sono suicidate ‘anche’ per questo dolore, che nessuno riconosce ed indaga, ma che vi assicuro so perché l’ho vissuto e l’ho visto è lacerante a tal punto da desiderare la morte come sollievo?

E ribadisco, lo stigma sociale è un vostro spauracchio, è la coscienza che grida da millenni che sopprimere la vita è male, e che dall’uccisione dell’innocente non può venir fuori nulla di buono

Poi se voi siete in pace con la vostra di coscienza nel fare queste affermazioni, e nell’infischiarvene di essere aderenti alla realtà perché vi fa comodo piegare i fatti alle vostre convinzioni, ben per voi.

Io invece la mia coscienza non la metterò mai a tacere, e griderò e chiederò giustizia per chi come me ha sofferto e soffre le pene dell’inferno perché è stato ingannato

Forse informare le donne sulle possibili conseguenze dell’aborto non servirà a molto, penso che le donne infatti abortiranno lo stesso e scopriranno dopo da sole, in certi casi, che quanto gli era stato detto era vero; ciò dovrà essere previsto, e spero che queste informative comporteranno prima o poi dei percorsi di follow up e di cura qualora i disturbi insorgano.

Ma penso anche che rompere il muro dell’omertà su questo argomento, affermare la verità sulle ‘possibili’ conseguenze a livello psicologico dell’IVG, contribuirà almeno a formare la società e il senso comune, forse sensibilizzerà maggiormente il mondo scientifico e sanitario a prendersi cura di queste fragilità con maggiore competenza, forse aiuterà le donne a chiedere aiuto, e le persone coinvolte ad avere più tatto e sensibilità

Forse qualche bambino in più vedrà la luce, chissà, e quest’eventualità mi chiedo perché vi sembri tanto sconveniente, quando è riconosciuta da tutti la crisi demografica in corso

Mi auguro che le mie parole non siano “parole al vento”: io credo fermamente nella potenziale bontà di ogni essere umano, nel fatto che tutti ricerchiamo sinceramente la Verità, e che ogni uomo voglia essere coerente con quello che ritiene giusto; spero che, quanto meno per onestà intellettuale, principio che dovrebbe animare chi si appella alla razionalità come motore del proprio agire, terrete in considerazione questa mia testimonianza, non dico per ricredervi a priori, ma per lo meno per ripensare le vostre posizioni alla luce di un racconto di vita, che ammetto è peculiare, ma che vi assicuro è rappresentativo di tante storie, più di quante pensiate

Vi saluto con un augurio che per voi forse sarà insignificante, ma che è fatto col cuore: buon cammino di Avvento, che possa essere un tempo in cui le vostre certezze granitiche si incrinino, e che la luce del Santo Natale vi abbagli e vi squassi dentro, per scoprire l’Infinito che c’è oltre la razionalità.

Ognuno d’altronde augura il Bene che conosce”.

Daria B., Comitato Pro-life Insieme
www.prolifeinsieme.it

Tags: ABORTODONNEIN EVIDENZAPro LifeVITA
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