Sulla tomba di Hina Saleem

Mi chiamavo Hina Saleem, ero nata in Pakistan da genitori pakistani, ma cresciuta in Italia a Brescia.
Certo figlia di quella cultura, certo secondo la mia famiglia apparteneva a quella cultura, ma ne ho anche vissuta un’altra insieme alle mie amiche italiane vivevo quella occidentale.
Ero una ragazza musulmana perché nata da una famiglia musulmana , ma mi identificavo nella società occidentale, mi sentivo a casa mia a Brescia. Volevo vivere esattamente come vivevano tutte le altre mie amiche.
Volevo avere un ragazzo italiano, uscire, andare a ballare in discoteca.
Solo che alla mia famiglia non stava bene!
A quella famiglia che credeva che io dovessi rispettare una cultura, delle tradizioni alle quali io non avevo deciso di appartenere.
Si facevano parte della mia storia familiare, ma credevo di poter avere il diritto di scegliere se dovessero essere quelle alle quali volevo improntare la mia vita. Ero andata a convivere e mi ero fidanzata precedentemente con un ragazzo italiano.Mio padre non era d’accordo, avrebbe voluto farmi sposare un ragazzo pakistano con un matrimonio combinato.
Questa non sarebbe neanche una storia così particolare. Chissà quanti genitori non hanno approvato le libere scelte dei propri figli. Chissà quante famiglie si sono scontrate anche duramente con loro per questo.
Se non fosse per quello che mi è costato.
Mio padre non mi ha tolto la parola, mio padre non mi ha cacciata di casa.
Venti coltellate, sgozzata e seppellita nel giardino di casa.
Così è finita la mia vita, questo il prezzo che ho dovuto pagare.
L’uomo che mi ha ucciso è il mio stesso padre.
Qualche anno dopo mio fratello ha deciso di far rimuovere la fotografia dalla mia tomba perché a suo avviso ero troppo poco vestita.
Oggi il mondo celebra la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ci si riempie la bocca di tante parole, ci sono tanti luoghi comuni di tante presunte femministe e uomini ipocriti in tutto il mondo.
Ma mi chiedo se oggi in Italia vengo ancora ricordata, se oggi in Italia si pensa alle tante donne che vivono la mia condizione.
Se si pensa che in Italia ci sono molte ragazze che vivono in famiglie come la mia, e sulle cui libertà e sui cui diritti è giusto porsi delle domande.
Non perché siano tutte uguali le persone nei comportamenti e nelle idee, ma perché è giusto che si vigili sulla libertà e la garanzia del suo mantenimento, se si vuole parlare di libertà e rispetto per tutte le donne con serietà lo stato deve garantire la libertà anche di quelle come me.
Mi chiamavo Hina Saleem. Forse oggi qualcuno si ricorda ancora di me.

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