So long Donald

L'insediamento di Biden. Va in onda la Restaurazione.

Donald

Ciao Donald.

Mentre assisto al circus messo in scena per il giuramento di Joe Biden, rimpiango i tuoi quattro anni.

“Torneremo” hai detto, stanco, una promessa che stavolta non potrai mantenere.

Una promessa che spesso fanno i politici importanti, prima di finire mestamente nell’oblio.

Quattro anni di spacconate, ma soprattutto di politica solida, che ha dato frutti entusiasmanti.

Indici NASDAQ che hanno segnato record su record, disoccupazione ai minimi storici dagli anni ’60, soprattutto quella afroamericana.

Tutto inutile per i media del mainstream, cui non poteva andare giù il sistematico atteggiamento insofferente ai temi mainstream di “cambiamenti climatici” e proliferazione cinese.

Le ricette giuste

Scorrono le immagini di Lady Gaga con tanto di uccello della pace dorato,che canta l’inno nazionale Stars and Stripes, e Jennifer Lopez che usa il palco presidenziale per uno slogan ai Latinos.

In onda la Restaurazione, questa è l’impressione.

Tutto il contrario a quanto è stato perseguito in questi quattro anni sin ora, con un drastico taglio delle tasse ed un programma keynesiano di investimenti pubblici: questa la politica del trumpismo.

Che ha prodotto un boom economico, come fu all’epoca di Reagan, che ha fatto rientrare molte manifatture dal Messico agli States.

Avevi una facile rielezione in tasca Donald, due sono stati gli elementi che non l’hanno permessa.

Brogli a parte ovviamente.

Le ricette sbagliate

Parto con la più indigesta: la mancanza di guerre.

Al sistema Paese USA tirarsi fuori dall’essere il gendarme del mondo non è piaciuto.

E nemmeno ai vertici della Difesa, i segretari se ne sono andati sbattendo la porta negli anni, il Generale dei Marines James Mattis in testa. Il meccanismo di truppe sparse nel mondo si è sentita abbandonata.

Nonostante la vicinanza espressa a tutti i combattenti e veterani, Donald non ha fatto breccia nei militari.

Il cigno nero del Covid è stato un elemento imprevisto, che strumentalmente è stato sfruttato dalla compagine democratica, senza contare la popolazione Usa, che di distanziamento sociale ed imposizioni sovietiche non vuole sentire parlare.

Ma il bombardamento mediatico ha seguito il suo corso e sicuramente il rallentamento dell’economia che aveva galoppato fino ad allora è stato un forte vulnus al Presidente.

Un Presidente non amato dal suo partito, che suo non era.

I Ted Cruz, i Pence hanno colto subito la palla al balzo per smarcarsi da un’ombra ingombrante, che non veniva dal Gop ma era un outsider che aveva sbaragliato i concorrenti alle primarie solo per la sua presenza.

E questa probabilmente è stata la causa della elezione del 2016 e della non rielezione a novembre.

Il problema di Trump è di esser troppo Trump.

Troppo esplicito, troppo guascone, troppo diretto.

Per nulla politico, insofferente ai consiglieri, convinto di essere lui il catalizzatore di tutto e di avere sempre ragione.

Nessuna gavetta politica, né umiltà di ascoltare lo staff.

Reagan, cui è stato impropriamente accostato, invece era un sindacalista, politico poi, e grande nello scegliere i collaboratori.

Donald era lui, solo.

E solo è affondato.

Ha fatto bene a non andare alla inaugurazione di Biden, sarebbe stata la sua crocefissione, l’unico strappo che gli approvo.

Per il resto mi mancherà, perché già da questo inizio di Biden, infarcito di scelte attente non alle competenze ma al gender, etnia e transessualismo, capisco che digerire questi quattro anni sarà dura.

Saranno quattro anni duri.

Quattro anni che Biden non vedrà ovviamente.

Sono pronto a scommettere che non arriverà a mangiare il panettone.

Kamala Harris è già pronta al suo incarico presidenziale, e a giudicare dalla commozione dei giornalisti al suo giuramento, il Deep state non attende altro.

So long Donald, thanks for all.

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