Rimpatrio Assistito ossia esistere o soccombere
Quello che stiamo vivendo non è una questione che può essere basata sulla razza ,sarebbe una ricostruzione semplicistica ed errata; siamo davanti a alcun problema di assimilazione culturale.
O meglio ad un problema di mancata assimilazione culturale. Di un’integrazione che non funziona
Quando si permette, o si incoraggia, intere comunità a vivere per decenni in modo autonomo, con un’educazione specifica, l’applicazione di un diritto e di una giustizia parallela a quella dello Stato ospitante, proprie festività, quartieri autogestiti; allora appare agli occhi di tutti i palese che non si vuole creare nuovi italiani.
Si creano enclave di altre nazioni dentro la nostra. Non ci sono, nei prossimi anni saranno sempre meno, gli “immigrati che diventano italiani”; sono italiani che vivono circondati da pezzi di Bangladesh, di Marocco, di Nigeria, di Pakistan che non hanno nessuna intenzione di italianizzarsi.
Chi arriva portando con sé un’identità forte, una fede vissuta quotidianamente, un senso di appartenenza orgoglioso e non negoziabile, trova di fronte a sé un popolo che ha smesso di credere in se stesso. Noi europei abbiamo vergogna della nostra storia, della nostra fede, dei nostri simboli, delle nostre tradizioni
Abbiamo insegnato ai nostri figli che difendere la propria cultura è “razzismo”, che avere orgoglio nazionale è “fascismo”, che la religione cristiana è un retaggio della presunta colpa bianca.
L’unica cosa che stupisce è come facciamo a meravigliarci se chi arriva con una fede che riempie le strade cinque volte al giorno, con una cultura che considera la famiglia, l’onore e la comunità valori non negoziabili, riempie il vuoto che noi stessi abbiamo lasciato.
Non è odio verso di loro; è una banale constatazione di fatti evidenti. Una civiltà che non crede più nei propri valori fondanti non può pretendere di reggere l’urto con chi crede ancora nei propri.
Si fanno decadere i nostri valori nazionali di riferimento e questo porta al collasso del senso comune di appartenenza
Non è questione di superiorità o inferiorità: è questione di forza identitaria. Noi abbiamo scelto di essere deboli, loro no!
È così che nascono le zone franche dove la polizia ha difficoltà ad entrare, dove la lingua italiana è uno strumento di comunicazione secondario, dove le nostre leggi sono soppiantate da un ordinamento alternativo.
Non possiamo parlare di “quartieri difficili”: ci troviamo davanti a colonie culturali che crescono dentro il corpo dell’Europa ed un giorno, quando saranno troppo forti, decideranno loro cosa far resta in piedi dell’Europa.
Non è più tempo di “integrazione” a parole, di progetti da milioni di euro che finiscono in cooperative e corsi di italiano frequentati da dieci persone. L’unica strada che resta, l’unica che può ancora salvare il nostro popolo dal diventare minoranza nella propria terra, è il rimpatrio assistito su larga scala di tutti coloro che decidono di non integrarsi. Di coloro i quali non vogliono mandare avanti la cultura ed il senso di appartenenza all’Italia.
Chi vuole diventare italiano, chi vuole vivere intriso dai valori e dalla cultura europea è sicuramente una risorsa. Chi vuole cambiare l’Europa, snaturarla, estendere il proprio paese nelle nostre case deve essere mandato via!
Non deportazioni, non violenza: accordi bilaterali, incentivi economici seri, supporto logistico, biglietti di sola andata verso i paesi d’origine o verso altri paesi che li accolgano volentieri. Paesi che condividono i valori di chi non vuole condividere i nostri.
È già stato fatto in passato, può essere fatto di nuovo!
È l’unica soluzione che rispetta la dignità di tutti e che preserva la continuità storica e culturale dei popoli europei
Perché se non lo facciamo noi, con umanità e determinazione, lo farà la storia con la durezza che la storia sempre usa quando gli uomini non hanno il coraggio di scegliere.
Vedere tutto questo e tacere o, peggio essere complici, rappresenta il più grande tradimento, nella storia del mondo moderno.
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