Resilienza. La nuova parola per indicare la sottomissione

resilienza

Fino al 2020 nessuno di noi conosceva il significato della parola resilienza. O almeno solo in pochissimi. Adesso invece sta venendo utilizzata spesso, troppo spesso. E le cose non vengono fatte mai per caso.

Il significato del dizionario indica nella resilienza “la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.” In parole povere il sapersi adattare, essere plastici. Saper affrontare le difficoltà modificando il proprio modo di vivere.

Potrebbe sembrare una cosa buona, ma a me fa molta paura. I cambiamenti delle masse non avvengono mai in modo traumatico, ma per gradi. Senza farsene accorgere. Deve essere una modifica che nemmeno si debba avvertire.

L’imposizione forzata di una linea di pensiero può portare modifiche nell’immediato. È la paura istintiva che sottomette l’uomo. Ma con l’andare avanti del tempo si ha una reazione uguale e contraria. È anche una legge fisica. Si ha la resistenza

L’annichilimento della volontà collettiva richiede tempo perché questo possa perdurare. La chiamano resilienza in termine molto edulcorato. Ma la vedo come una vera e propria sottomissione. E lo strumento utilizzato è sottile, reale, ma diabolico.

Siamo davanti a un virus subdolo come tutti i virus. Perché c’è ma non si vede. E allora approfittiamone e portiamo la popolazione ad uno stato di sottomissione. Con l’arma più potente che esista: la paura. La paura di un qualcosa di invisibile e che mina la nostra salute.

Chiamiamo questa sottomissione resilienza, altrimenti succede la rivoluzione. E visto che ci siamo infiliamola anche nel piano di risanamento della nazione. Il PNRR: Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Piano Nazionale di Ripresa e Resistenza

Questa sarebbe dovuta essere la sigla corretta. Resistenza: perché bisogna resistere alla situazione economico/sanitaria attuale. Non dobbiamo adattarci. Dobbiamo fare in modo che tutto torni alla normalità di come eravamo abituati fono al 2019.

Siamo diventati parassiti di uno Stato parassita. Va avanti (e bene) solo chi ha la retribuzione garantita. Si sta affossando la libera imprenditoria.

Non siamo più in lockdown, ma provate a fare un giro per le città di venerdì e sabato. Strade pressoché deserte. Ristoranti semi vuoti. Alberghi che non riaprono. Eppure c’è una libertà pressoché totale.

Ma c’è tanta paura. Il bombardamento sistematico dei virologi, aiutati dai media. Col beneplacito statale. Siamo sotto un attacco gentile, ma inesorabile. E noi ci adattiamo. Non reagiamo, ci uniformiamo.

Siamo così uniformati che ormai abbiamo perso anche le nostre sembianze. La mascherina ci fa essere tutti uguali. Numeri, greggi. La lenta degradazione dell’individualità. Ma le mascherine servono. Anzi vanno messe sempre.

E così vediamo persone da sole in macchina con la mascherina. E lo sguardo vuoto e inespressivo della mucca che sta per andare al macello.

Resilienza, una parola dolce e dittatoriale.

Vi invito a leggere l’articolo di qualche giorno fa scritto da Sandra Bianchini: Per il nostro bene. La paura e una rivoluzione industriale che ricorda un periodo drammatico

 

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