Ragionevole durata del processo: prescrizione e improcedibilità come forme di elusione
Il tema della ragionevole durata del processo, nella nostra società contemporanea, è un problema divenuto ormai annoso. Ciclicamente, al momento di mettere mano alle varie norme processuali, tanto civili che penali, è un argomento che sale, inevitabilmente, alla ribalta.
La ragionevole durata del processo viene disciplinata tanto nella nostra Costituzione
(art.111, comma 2), tanto all’art.6, par 1 della Convenzione Europea Diritti Umani (c.d. CEDU). La disposizione costituzionale sancisce che “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. L’articolo 6, par 1 della CEDU, assicura che “ogni persona ha diritto ad una equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge”.
Al verificarsi di situazioni concrete, ci si è resi effettivamente conto che sia un imputato nel processo penale che un convenuto nel processo civile (tralasciamo le questioni di giustizia amministrativa e quelle di giustizia tributaria dinanzi alle commissioni tributarie) sono esempi negativi della indeterminatezza relativa alla conclusione del processo. Insomma, si conosce il momento di inizio ma non quello di fine.
Nel tempo, non sono certamente mancati interventi da parte degli addetti ai lavori su di un problema divenuto sempre più evidente, dai tratti, per certi versi, anche preoccupanti perché, non si è mai veramente stati in grado, a livello legislativo, di placare, di sopire, il problema. I nostri padri costituenti erano ben consapevoli che, laddove un soggetto fosse rimasto imbrigliato nelle maglie della giustizia, era alquanto necessario, come inevitabile controlimite, quello di garantire quantomeno che la durata del processo patito fosse ragionevole.
Francesco Carnelutti, avvocato e giurista, nel 1946, in ambito di processo penale, si era così espresso: “se il processo penale è di per sé una pena, bisogna almeno evitare che la stessa abbia una durata irragionevole”.
Pietro Calamandrei, uno dei padri storici del nostro diritto, nel 1953 aveva invece affermato: “il segreto della giustizia sta in una sua sempre maggior umanità, e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta comune contro il dolore: infatti il processo, e non solo quello penale, di per sé è una pena, che i giudici e avvocati debbono abbreviare rendendo giustizia”.
Eppoi, diciamocelo chiaramente, l’istituto della prescrizione, al di là della nota contrapposizione tra giustizialisti e garantisti, al di là della mole eccessiva del numero dei processi in corso, non può certamente arrogarsi, a mezzo prodromico, il diritto di valorizzazione della ragionevole durata del processo. Questo, perché, in quanto strumento di estinzione del reato – quindi non ha valenza processuale -, ha carattere sostanziale, come spesso è stato ripetuto dalla nostra Consulta (più nota come Corte Costituzionale). Si dice spesso, erroneamente, che estinto il reato per prescrizione, sia estinto anche il processo. Concezione evidentemente sbagliata. Il processo non si estingue, ma si conclude con l’emanazione di una sentenza, sia essa di condanna, oppure, di assoluzione. La prescrizione, insomma, ha effetto solo di riflesso sulla ragionevole durata.
La Riforma Cartabia che ha introdotto l’istituto della improcedibilità, non sembra risolvere il problema della ragionevole durata
Infatti,.se è vero che mantiene il decorso della prescrizione fino alla sentenza di primo grado, dall’altro introduce, per la fase dell’appello, nonché per quella di Cassazione, questo nuovo “congegno giuridico processuale”. Si stabilisce, infatti, che per i reati commessi a partire dal il 1° gennaio 2020, la durata dell’appello sia di due anni (tre anni in casi specifici) e, un anno, per la fase dinanzi alla Corte di Cassazione (due anni in casi stabiliti). Anche qui, però, ben si comprende che l’impianto in questione non determina nessun tipo di accertamento nel merito – non viene infatti emanata nessuna sentenza di condanna o di assoluzione – ma viene, laddove non rispettato il parametro temporale, “troncato” il processo”.
In conclusione, tanto la prescrizione, quanto la nuovissima improcedibilità, sono strumenti evidentemente elusivi delle reali problematicità
Uno Stato di diritto, che contempla la giustizia come uno dei suoi elementi portanti, non può che vedere, in questi strumenti, un evidente fallimento. La cosa sensata sarebbe quella di arrivare ad un accertamento nel merito delle questioni, nel rispetto di una ragionevole durata; questo, soprattutto in campo penale. È evidente l’esigenza di dover tutelare la società dal male, dal crimine. Il diritto penale è una tipologia di diritto particolarmente afflittiva, che incide inevitabilmente sulla libertà personale. Le norme penali sostanziali trovano nel processo il terreno di applicazione, il quale è luogo in cui dover accertare le dovute responsabilità. Compito del legislatore è far sì che si arrivi, in ogni caso, ad un pronunciamento nel merito. È una esigenza della vittima ma anche della stessa società.
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