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QUANDO LA CASSAZIONE GUARDA DENTRO LA VIOLENZA DOMESTICA: UNA SENTENZA CHE PARLA ALLA SOCIETÀ

di Danilo Di Stefano
9 Dicembre 2025
In Attualità
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QUANDO LA CASSAZIONE GUARDA DENTRO LA VIOLENZA DOMESTICA: UNA SENTENZA CHE PARLA ALLA SOCIETÀ
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​Non tutte le sentenze hanno lo stesso peso nella vita pubblica. Alcune, pur riguardando un singolo caso, riescono a illuminare un intero fenomeno sociale, restituendogli la complessità che spesso il dibattito pubblico appiattisce.

È esattamente ciò che accade con la decisione della Sesta Sezione Penale della Corte di cassazione depositata lo scorso mese di settembre, relativa a una vicenda di violenza domestica che per anni ha ingabbiato una giovane donna in un ciclo di maltrattamenti fisici e psicologici

Più che un pronunciamento tecnico, questa sentenza è uno sguardo profondo sulle dinamiche della violenza nelle relazioni affettive, sulle difficoltà di chi la subisce e sui luoghi comuni che troppo spesso condizionano giudizi e opinioni.

​La Corte parte da un punto tanto semplice quanto fondamentale: la parola della vittima è una prova

Non un indizio debole, non un racconto sotto sospetto, ma una testimonianza che – se coerente, logica e priva di contraddizioni – può bastare a fondare una condanna. È un chiarimento importante, perché va contro l’idea, ancora radicata, che senza testimoni, referti e registrazioni “non si possa dire nulla di certo”.

La Cassazione spiega che questa pretesa è irrealistica e, nei fatti, ingiusta: nella maggior parte dei casi di maltrattamenti domestici, la violenza avviene in spazi privati, spesso senza testimoni e con attenzione a non lasciare segni visibili

Per questo, ciò che conta è la credibilità complessiva del racconto, valutata con attenzione e rigore. E in questo caso, nota la Corte, il quadro tracciato dalla giovane donna fatto di botte, minacce, isolamento, svalutazioni continue è apparso costante nel tempo, supportato da messaggi, certificazioni mediche e soprattutto da un filo logico che attraversa l’intera vicenda.

​Uno dei passaggi più interessanti della sentenza riguarda il richiamo al cosiddetto “ciclo della violenza”: una dinamica ben conosciuta dagli esperti e dagli investigatori, fatta di tensione crescente, esplosioni di violenza, fasi di apparente pentimento e nuove ricadute

La Corte utilizza questa chiave di lettura per spiegare un comportamento che, a occhi poco esperti, potrebbe sembrare contraddittorio: la donna ha lasciato il compagno, è tornata a casa dei genitori, poi è rientrata da lui, poi è andata via di nuovo. E così per mesi, difesa da un sentimento ambivalente, dalla paura, dalla vergogna, dalla speranza che “questa volta sarà diverso”.

Questa alternanza di sentimenti non è un indice di inattendibilità, ma una dinamica tipica delle relazioni maltrattanti: la vittima resta intrappolata in una spirale psicologica e affettiva che rende difficile la decisione di andarsene definitivamente

E uno dei punti più forti e innovativi della pronuncia è che il diritto non può chiedere alla vittima di comportarsi come un personaggio ideale, perfetto e lineare: ma deve, invece, comprendere la realtà delle emozioni, dei legami, delle dipendenze.

​La sentenza dedica ampio spazio a una forma di violenza spesso ignorata perché “non lascia lividi”: la violenza psicologica.

Tra le righe di quanto scrivono i giudici emergono dettagli che raccontano meglio di mille definizioni cosa significhi vivere sotto controllo: isolamento dai familiari, svalutazioni continue, minacce, imposizione di comportamenti, anche economici. Una pressione costante, invisibile, che logora giorno dopo giorno e che spesso anticipa e accompagna la violenza fisica

La Cassazione sottolinea che il reato di maltrattamenti non richiede necessariamente colpi o ferite visibili, sottolineando che la violenza domestica è un sistema, non un episodio isolato.

​Nell’analizzare il ritardo della presentazione della denuncia da parte della vittima, risponde a quello che è un pregiudizio diffuso e una delle obiezioni più ricorrenti nelle discussioni pubbliche sulla violenza domestica, evidenziando che la realtà è molto più complessa di quanto possa apparire: chi subisce violenza non sempre riesce a riconoscerla subito, né a trovare la forza di opporsi.

Ci sono paure, dipendenza emotiva, pressioni familiari, mancanza di alternative economiche, sensi di colpa, speranza di cambiamento

La vittima non denuncia quando noi “pensiamo che avrebbe dovuto farlo”: denuncia quando raggiunge un punto di rottura, quando la paura supera l’amore, quando la vita diventa insostenibile. Pretendere che chi subisce violenza agisca secondo uno schema ideale significa non capire come funziona davvero il fenomeno.

​La decisione della Cassazione, dunque, va ben oltre la dimensione processuale. È un testo che parla alla società prima ancora che ai tribunali

È un invito a liberarci da luoghi comuni e semplificazioni, a guardare alla violenza domestica con occhi meno giudicanti e più informati. Perché – dice in buona sostanza la Corte – non esiste una “vittima perfetta”. Esistono persone che vivono situazioni difficili, spesso per anni, e che meritano ascolto, protezione e giustizia. In un momento storico in cui il tema della violenza sulle donne e nelle relazioni affettive è finalmente al centro dell’attenzione pubblica, questa sentenza aggiunge un tassello importante: ricorda che la legge non è solo un codice di norme, ma uno strumento per leggere la realtà e, quando serve, per cambiarla.
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Danilo Di Stefano Responsabile del dipartimento Sicurezza e Legalità di Fratelli d’Italia Provinciale Firenze, già commissario capo della Polizia di Stato

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Tags: CASSAZIONECODICE PENALEIN EVIDENZAREATOVIOLENZA DOMESTICA
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