Orban, la UE, gli LGBT e il referendum

“Fermiamo Bruxelles come già fatto sui migranti"

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Dopo le accuse della Commissione Europea e dei principali governi Ue, Viktor Orban non arretra di un millimetro e cerca il sostegno popolare per passare al contrattacco. Il premier ungherese ha annunciato un referendum sulla contestata legge anti-Lgbt. Quella che, secondo Bruxelles, è contraria ai valori e al diritto dell’Unione perché discriminatoria. Ma che per il governo magiaro serve soltanto a proteggere i minori dalla «propaganda gender».

La scorsa settimana la Commissione ha aperto una procedura d’infrazione e ha dato a Budapest due mesi di tempo per rispondere nel merito. La replica è arrivata prima del previsto e si tratta di una vera e propria dichiarazione di guerra politica.

«È in gioco il futuro dei nostri bambini – ha detto il leader di Fidesz in un video pubblicato su Facebook – perciò non possiamo fare concessioni su questo terreno».

I cinque quesiti del referendum

Non c’è ancora una data per il referendum, ma secondo la stampa locale saranno cinque i quesiti che gli elettori troveranno sulla scheda. «Vuoi che i minori frequentino lezioni scolastiche sul tema degli orientamenti sessuali senza il consenso dei genitori? Sostieni la promozione dei trattamenti per il cambiamento di genere tra i minori? Vuoi che i contenuti dei media che influenzano lo sviluppo sessuale siano presentati ai minori senza restrizioni? CHE la chirurgia di rassegnazione del sesso debba essere disponibile per i minori? Vuoi che i contenuti multimediali che descrivono il cambiamento di genere debbano essere mostrati ai minori?».

«Cinque anni fa abbiamo impedito all’Ue di obbligarci ad accogliere i migranti – ha ricordato ieri Orban -. Li abbiamo fermati allora e possiamo fermarli anche adesso». In realtà il precedente non rappresenta un grande successo per il governo di Budapest. Il riferimento di Orban è al referendum tenutosi nell’ottobre del 2016 relativo al piano di ridistribuzione dei richiedenti asilo da Italia e Grecia che era stato proposto nel 2015 dall’allora Commissione guidata da Jean-Claude Juncker e poi approvato dal Consiglio Ue (con il voto contrario di Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania).

Orban va avanti

Budapest aveva successivamente indetto una consultazione popolare: il 98% dei votanti aveva approvato la linea del governo, ma solo il 44% dei cittadini si era presentato alle urne, mancando così il raggiungimento del quorum (50%). Anche in quel caso, però, Orban andò avanti per la sua strada, respingendo il piano di Bruxelles nonostante la condanna della Corte di Giustizia dell’Ue.

Ora l’opposizione punta a un esito simile per il nuovo referendum. «Faremo di tutto affinché sia nullo» annuncia la Coalizione Democratica (DK). E il sindaco di Budapest, Gergely Karacsony, principale avversario di Orban, ha annunciato a sua volta una serie di referendum contro alcuni provvedimenti del governo. Tra cui la costruzione nella capitale di un campus dell’università cinese di Fudan.

Al Parlamento europeo, dove i deputati di Fidesz siedono tra i non iscritti dopo l’uscita dal Ppe, si è subito fatto sentire il sostegno dei conservatori, che da tempo corteggiano Orban.

I responsabili del gruppo Ecr – di cui fa parte Fratelli d’Italia – hanno contestato il recente rapporto sullo Stato di diritto presentato dalla Commissione e la decisione di congelare l’approvazione del Recovery plan ungherese.

 

Fonte:  Marco Bresolin lastampa.it

 

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