Open Arms, l’assoluzione di Salvini e la rivincita della sovranità democratica

Open Arms, l’assoluzione di Salvini e la rivincita della sovranità democratica

L’assoluzione definitiva di Matteo Salvini nel processo Open Arms rappresenta molto più della conclusione di una vicenda giudiziaria: è una pagina di verità che ristabilisce un principio fondamentale dello Stato di diritto e smaschera anni di strumentalizzazione politica e mediatica ai danni di chi ha avuto il coraggio di difendere l’interesse nazionale

Non era affatto scontato un esito di questo genere, soprattutto se si considera la pervicace arroganza di chi ha voluto per forza celebrare questo processo, alquanto inutile e costoso, per motivi esclusivamente politici.

E che i motivi siano solo di tal natura è emerso chiaramente sin dall’inizio dell’accanimento giudiziario contro il leader della Lega; cioè sin da quando qualcuno ebbe a dichiarare che “Salvini ha ragione, ma va fermato comunque”, e quel qualcuno era un magistrato.

All’epoca si è voluto sottovalutare questo messaggio inquietante, che tuttavia denota l’orientamento di certa magistratura nei confronti dell’allora Ministro degli Interni e, più in generale del centrodestra

Oggi, quel metodo viene sconfessato clamorosamente.

I fatti risalgono all’estate del 2019, quando la nave della ONG spagnola Open Arms rimase per diversi giorni al largo di Lampedusa con a bordo migranti soccorsi nel Mediterraneo. All’epoca Matteo Salvini era ministro dell’Interno e vicepremier del governo Conte I, e aveva adottato, insieme all’esecutivo, la linea dei cosiddetti “porti chiusi”, chiedendo una redistribuzione europea dei migranti e il rispetto delle procedure internazionali.

Una scelta politica, pubblica e rivendicata, condivisa collegialmente dal governo, come emerso chiaramente nel corso dell’istruttoria

Nonostante ciò, la Procura contestò a Salvini il reato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, sostenendo che il ritardo nello sbarco fosse illegittimo.

Le contestazioni apparvero sin da principio ridicole, eppure dettero i via a un lungo iter giudiziario, passato anche dal voto del Senato sull’autorizzazione a procedere, che già allora assunse i contorni di uno scontro politico più che di una valutazione giuridica serena.

Il processo, celebrato a Palermo, ha visto sfilare ministri, funzionari, militari e tecnici, ricostruendo nel dettaglio il contesto decisionale di quei giorni

Dalle testimonianze e dai documenti è emerso un quadro inequivocabile: nessuna iniziativa personale, nessuna volontà punitiva, nessun abuso di potere.

Le decisioni furono politiche, assunte nell’interesse dello Stato e nel rispetto delle competenze istituzionali. I migranti, inoltre, ricevettero assistenza costante e non furono mai privati dei diritti fondamentali.

Tant’è vero che anche il Tribunale di Palermo in primo grado ebbe ad assolvere Salvini con formula piena (perchè il fatto non sussiste). Vicenda chiusa? Tiutt’altro, perchè i PM non contenti della sonora batosta ricevuta, hanno deciso di ricorrere a uno strumento che, sebbene legittimo sul piano formale, era totalmente in disuso, cioè il ricorso per saltum direttamnte alla Corte di Cassazione, saltando il secondo grado in Corte d’Appello

Ma con la sentenza dio questi giorni, anche il Supremo Collegio non ha potuto che riconoscere che il fatto non sussisteva davvero. Non c’è stato sequestro, non c’è stato reato. E con la definitività della decisione cade anche l’impianto accusatorio che per anni ha alimentato titoli, polemiche e campagne di delegittimazione.

Sul piano politico, l’esito giudiziario assume un significato che va ben oltre la cronaca. Il caso Open Arms è stato il simbolo di un tentativo di trasformare una scelta di governo in un crimine, di spostare il conflitto politico dalle sedi democratiche alle aule dei tribunali.

Un’operazione che oggi esce sconfitta, insieme a una certa narrazione che ha dipinto per anni il controllo dei confini come un atto disumano anziché come una responsabilità statale

L’assoluzione di Salvini è dunque una rivincita della legalità e della sovranità democratica. Stabilisce un principio chiaro: un ministro che applica una linea politica sull’immigrazione, anche dura e impopolare per alcuni, non può essere criminalizzato per questo. Le politiche migratorie si discutono e si cambiano con il voto, non con i processi.

Dopo anni di fango, la cronaca giudiziaria restituisce finalmente i fatti per quello che sono stati. E consegna alla storia una verità semplice, ma fondamentale: difendere i confini italiani, nel caso Open Arms, non è stato un reato. È stato esercizio legittimo del potere politico

Ed è proprio su tale piano si dovrebbe gestire la complessa vicenda dell’immigrazione: secondo regole chiare e non secondo l’arbitrio delle ONG o il ricatto dell’emergenza permanente. A ben vedere, il processo Open Arms non è mai stato solo un procedimento penale: è stato il tentativo, nemmeno troppo velato, di colpire politicamente un leader che aveva osato rimettere al centro la sovranità italiana.

Errore capitale per i globalisti e immigrazionisti vari che non perdonano a chi vuol difendere i confini dall’invasione (pacifica, si spera) straniera di esistere e far politica contro questo disegno simil-eversivo

I giudici della Corte di Cassazuibe hanno infine ristabilito un fatto tanto semplice quanto scomodo per quella parte politica: difendere i confini non è un reato.

Questa assoluzione è anche una sonora sconfitta per quel giustizialismo selettivo che da anni tenta di sostituire il confronto politico con l’uso distorto delle aule di tribunale.

Quando non si riesce a vincere alle urne, si prova a eliminare l’avversario per via giudiziaria. È una deriva pericolosa, che l’Italia conosce fin troppo bene, e che oggi trova un argine importante

In conclusione, Salvini esce da questa vicenda più forte, non solo sul piano personale ma politico. Ha pagato un prezzo altissimo in termini di esposizione mediatica, attacchi personali e isolamento istituzionale, senza mai rinnegare le proprie scelte.

Questa coerenza, oggi, viene riconosciuta anche sul piano giudiziario

E già rivendica il ruolo di Ministro dell’Interno nel caso il centrodestra dovesse vincere le elezioni politiche nel 2027. E non si vede perchè non debba farlo!

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