“Corsivoe”. Onore a “Lorenzo Rocci” il vietcong del greco che ci ha resi, orgogliosamente, diversi

L'averlo in casa non ci rende pop come la "professoressa" Esposito, ma meglio sfigati e un po' sapienti che sfigati e basta

Una notte l’ho sognato nella giungla dell’Indocina. Ero il sergente Elias di Platoon lui, con cappello di paglia e cartucciera attorno alla custodia di cartone, un vietcong lanciato all’inseguimento. Dietro, il vocabolario di latino con tanto di RPG a tracolla ed il mio insegnante di greco armato di Ak-47.

Giunto al pullman-elicottero, il capo classe di 25 anni fa chiudeva le porte lasciandomi lì, solo, fra i “libri nemici”.

Uno si chiederà: ma questo s’è calato un acido? No, normale amministrazione onirica: se ci sei passato un mese o ci hai trascorso cinque anni il liceo ti segna per sempre. Specie il classico. E non date retta a chi vi dice che tornerebbe subito sui banchi di scuola: fesserie, bugie che si raccontano a se stessi passati i 40.

Ora, chi scrive sta ancora sotto i 40 dunque si limita ad incubi da “nebbie lisergiche”, per citare i Negrita. Ma il “Lorenzo Rocci – vocabolario Greco Italiano” è stat, davvero, l’ LSD cartaceo di intere generazioni di studenti…

Nato nel 1864, laureato in Lettere con Carducci in commissione d’esame, Lorenzo Rocci era un gesuita di Fara Sabina talmente preparato in lettere antiche da aver ricevuto i personali complimenti di Papa Pio XII. E scusate se è poco.

La prima edizione del suo famigerato vocabolario è del 1939 ma già nel 1943 (in piena Seconda Guerra Mondiale) era stata rivista. E chissà se per ampliarla o per alleggerirla!

Venticinque anni di lavoro quelli impiegati dal gesuita Rocci per l’opera omnia dei vocaboli omerici: 150 mila lemmi in 2064 pagine, trappoloni in font d’antan simili a quelli in esplosivo e canne di bambù piazzati dal Viet Minh fra le fronde dell’ Ho Chi Minh Boulevard.

Un prezzo di copertina agghiacciante già ai tempi delle lire (in parte giustificato dal prestigio del volume) tanto che il vocabolario era saggiamente portato fra le braccia come un pupo dalle compagne di scuola il giorno dei compiti in classe… Schiaffato invece nello zaino a mo’ zavorra da noi maschi caproni.

Un’altra cosa non è vera: lasciate correre chi vi dice che c’erano dentro “intere versioni bastava saperlo leggere”. Boiate: quando finalmente trovavi il termine esatto sembravi Sean Connery in Indiana Jones e l’Ultima Crociata, che grida “Alessandretta!” perché ha capito che il Sacro Graal è fra le vestigia dell’antica Iskenderun… dopo due decenni infruttuosi trascorsi sui libri senza filarsi il figlio.

Direte voi:  – e questo, che pare abbia patito le sette piaghe, adesso gli dedica anche un articolo?-

Eh sì! Perché quel vietcong della lingua greca, quel libro dalla copertina oscena invariata, forse, dalla presa di Santander, ha rappresentato una prova. Una delle tante che ti trovi ad affrontare nella vita, magari non la principale ma comunque un inizio. E a 15 anni un inizio non da poco.

Alla soglia dei 40, si diceva, l’aver il “Rocci” nella biblioteca di casa non rende me e migliaia di altri “veterani” dei banchi di scuola popolari quanto la professoressa Esposito, né insulti dal retrogusto ellenico quali πρωκτοτηρέω (fare l’ispettore dei deretani) o γραοσόβης (amante di vecchie) potranno reggere il confronto con gli equivalenti in corsivoe. L’averlo, ci rende però un tantino diversi: ma solo un tantino, onde evitare che uno stuolo di femministe venite su sui social ci accusi di classismo e di essere seguaci di Omero, “pederasta ed omofobo”.

Perché vedete, è proprio questo il nodo di Gordio della situazione – drammatica – in cui versa la Società: il conformismo, il rifiuto di ogni forma di cultura, il sentirsi sollevati dal dovere di pensare e di assumerci così la responsabilità delle nostre azioni, è vissuto quale rivoluzionaria forma di libertà.

Se la memoria non m’inganna, sosteneva Cicerone (e qui Lorenzo mi perdoni se sconfino nel latino) che coloro i quali sono senza cultura finiscono per essere schiavi di tutti. Millenni più tardi, il decano del giornalismo italiano Indro Montanelli sentenziò che “la servitù non è sempre una violenza dei padroni, talvolta un’ambizione dei servi”, proprio perché alzare la testa e dire di no, porsi contro corrente, contestare ciò che tutti accettano pone in una posizione difficile. Che non tutti reggono!

Non so dirvi a quanti di noi Lorenzo, vietcong del greco, abbia davvero fatto amare la lingua d’Omero. A me personalmente no, per quanto non camperei un giorno se privato del diritto di conoscere. Le materie possono piacere o non piacere, ciò che conta davvero sono curiosità e slancio verso la scoperta. E sapersi opporre ad un mondo che ha fatto della superficialità una virtù e della Cultura una cosa di cui quasi vergognarsi. Mi ricorda qualcosa, i roghi dei libri al passo dell’oca, di cui alcune mode odierne sembrano essere “pacifiche”, ma pur sempre preoccupanti rivisitazioni…

Non è così? Se al lavoro o a scuola si dovesse, disgraziatamente, scoprire che avete letto un libro in più degli altri, che sapete una cosa in più del resto dei colleghi spiccate il volo, non ve lo perdoneranno mai!

Dunque, cara prof di corsivoe meglio un compito in classe dipinto dalla professoressa (quella vera!) col pastello blu, che imparare una sola parola di quella lingua da beoti. Ah, anche beota è greco: βοιωτός. Per l’etimologia la lascio fra le sapienti pagine del “Lorenzo Rocci”. Inutile cercarlo su Tik Tok, non penso ce l’abbia. Sconsigliabile domandargli la traduzione in corsivoe perché è pur sempre un gesuita e i gesuiti, si sa, è meglio non farli arrabbiare!

 

 

 

(Immagine di sfondo: Lorenzo Rocci. Alle spalle, una pagina del suo celebre vocabolario. Fonte: qui).

 

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