Ognissanti, la festa del ricordo e della presenza invisibile
Appena si spengono le luci arancioni di Halloween, arriva Ognissanti.
E con essa, un silenzio diverso, una calma che pare avvolgere ogni cosa. Dopo la leggerezza e l’ironia di una notte in cui si scherza con la morte, arriva il momento della memoria, del raccoglimento, del pensiero rivolto a chi non c’è più.
È come se il calendario avesse voluto bilanciare, con una saggezza antica, il gioco e la commozione, l’ironia e la preghiera
Ognissanti, e il giorno dei Morti che segue, sono feste che appartengono profondamente alla nostra cultura. Sono giorni in cui si sente il legame con le radici, con le famiglie, con le storie che ci hanno preceduto. Niente maschere, niente risate, solo una dolce malinconia, un pensiero che si allunga verso chi non è piu tra noi e ci manca.
Eppure, anche qui, non c’è tristezza assoluta. C’è piuttosto una forma di continuità, un dialogo che non si interrompe
A me piace immaginare i nostri cari in un mondo parallelo. Li vedo vestiti eleganti a tavola, tra le nuvole, davanti a banchetti luculliani e un’arpa che suona tra luci angeliche, a sorridere dei nostri ricordi, a rispondere ai nostri pensieri.
È come se, per un istante, il confine tra i vivi e i morti si facesse sottile, e in quella soglia, ci fosse ancora spazio per un abbraccio.
Così, dopo aver sorriso dei teschi fluorescenti e delle zucche intagliate, arriva il tempo di deporre un fiore, accendere una candela, pronunciare un nome, attivare un ricordo, dar vita a un’emozione.
Due feste diverse, due linguaggi opposti, uno che gioca con la paura, l’altro che la trasforma in memoria
E forse è proprio in questa alternanza che si nasconde il segreto, ricordare la morte, ma continuare a celebrare la vita.

