Nomine UE: la verità dietro al fallimento di Merkel e di Macron

Non cessa di stupirmi il coro unanime di critiche che il governo gialloverde suscita sugli organi di stampa nostrani dal giorno della sua nascita. Per natura, sono portato a pensare che quando tutti, o quasi, attaccano con gli argomenti più disparati il medesimo obiettivo, la verità stia altrove, non certo negli argomenti talvolta contraddittori degli autorevoli detrattori. Specie se tra questi figurano i “giornaloni”, Corriere e Repubblica in testa. Adagiato sulla cyclette, in un improbabile tentativo di fitness, ascoltavo distrattamente la trasmissione di Giannino, su Radio 24. Il personaggio è ficcante e possiede un eloquio invidiabile, nonostante una certa propensione alla mitomania. Ebbene, Giannino e i suoi ospiti, stamani, tanto per cambiare, sbeffeggiavano il governo gialloverde, senza centellinare virulenza e sarcasmo. Niente di nuovo, in fondo. Se non fosse che anche chi ascolta distrattamente non può fingere di non sentire le menzogne. I nostri eroi, per l’appunto, rivendevano agli ascoltatori l’esito dei complessi negoziati per le nomine UE come una sorta di trionfo per Macron, uscito dalla vicenda come Napoleone a Austerlitz, e come una sonora sconfitta per i luridi populisti, buoni solo a parole, ma incapaci di portare a casa risultati politici degni di nota.

La realtà è ben diversa. Com’è noto, Merkel voleva piazzare al posto di Juncker Frans Timmermans, ovvero un vecchio arnese della sinistra socialista, ritenuto uomo fidato, sul quale scommettere, a dispetto del fatto che le elezioni europee sono state vinte dal centro destra. Il motivo alla base di questa scelta, apparentemente incomprensibile, ce lo fornisce Jean Quatremer, su Libération. Trattasi di un punto di vista attendibile, poiché il personaggio, oltre a lavorare per un quotidiano che non fa sconti a nessuno, conosce come le sue tasche i palazzi di Bruxelles. Secondo Quatremer, la scelta di candidare Timmermans nasce dal fatto che costui ha sempre riverito Martin Selmayr, che non a caso lo disprezza, come capita spesso di fare nei confronti di servitori e tirapiedi troppo docili e imbelli.

Dubito seriamente che la cosiddetta opinione pubblica conosca o abbia mai sentito parlare di Martin Selmayr, poiché i giornali, specie i “giornaloni” informano a modo loro, tacendo a bella posta nomi e circostanze che invece si rivelano decisivi per cogliere almeno un barlume di verità. Selmayr è l’arrogante e autoritario segretario generale della Commissione europea, scelto a suo tempo da Merkel per fare da badante a Juncker, di cui sono note le alcoliche eccentricità. Insomma, un tecnocrate al cubo, manovratore espertissimo della macchina eurocratica, salito al potere scavalcando chi ne aveva diritto. Tra le numerose “stranezze” che accompagnano e seguono la irresistibile ascesa al potere del personaggio, figura anche lo strano suicidio di Laura Pignataro, alta funzionaria del servizio giuridico della Commissione, la quale era stata costretta a difendere la nomina palesemente irregolare di Selmayr. Il suicidio, strano e increscioso, oltre a essere stato rivelato mesi dopo dai responsabili della Commissione, è stato del tutto ignorato dai nostri organi di stampa.

Il fatto è, però, che un buon numero di capi di governo ha preteso le dimissioni di Selmayr, probabilmente a ragion veduta. Per tutta risposta, il nostro uomo, volendo restare evidentemente segretario a vita, ha fatto balenare la candidatura a presidente della Commissione di Andrej Plenkovic, capo della destra-destra croata, rifluito però nel gruppo di centro destra sul quale regna incontrastata Merkel. Selmayr, a suo tempo, ha favorito la Croazia sulla Slovenia, assegnando a Zagabria la Baia di Pirano, ovvero il solo tratto di mare che permette alla Slovenia di avere accesso alle acque internazionali, nonostante il parere diverso reso in materia dalla Corte permanente dell’Aja. Ovvio, dunque, che Plenkovic debba a Selmayr infinita gratitudine. Non meno facile comprendere come si sarebbe comportato da presidente della Commissione nei confronti dell’onnipotente segretario generale. Ebbene, né Timmermans né Plenkovic saranno i futuri presidenti della Commissione.

Vale la pena però ricordare che la candidatura di Timmermans era stata proposta da Merkel in occasione di un incontro al quale partecipavano, oltre a Manfred Weber, anche il francese Joseph Daul, presidente del gruppo francese all’europarlamento. Difficile pertanto raccontare l’esito finale della conclusione dei negoziati come una sconfitta per Merkel e un trionfo per il Bonaparte dell’ENA. Si tratta in realtà di una sconfitta sonora per entrambi. Che volevano un uomo debole al comando formale di un organismo gestito da un tecnocrate pericoloso e spregiudicato, oltre che, com’è normale, sconosciuto ai più. Ancora più difficile parlare di sconfitta per i populisti e per il cosiddetto gruppo di Visegrad: si deve a loro, e a non ad altri, il merito di aver fatto fallire, almeno per ora, i disegni cospirazionisti di personaggi poco raccomandabili, sui quali ricade in gran parte la responsabilità dell’attuale stato comatoso dell’Europa e delle sue istituzioni.

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