Immigrazione? No, traffico di schiavi. Accogliere vuol dire solo dare “via libera” ai trafficanti

E' una tratta vera e propria, che inizia lungo le antiche rotte schiaviste fino ad un viaggio pericoloso lungo il Mediterraneo. La tratta va fermata all'origine, altro che accoglienza!

Non è immigrazione partire dalla Libia. Non è solidarietà accogliere. Non è giusto salire a bordo delle navi per attaccare un governo. Già, perché i flussi che provengono dalla Libia sono di schiavi. Una tratta di schiavi che segue le stesse rotte dei mercanti arabi che, sin dall’età antica, hanno venduto sub-sahariani a romani, bizantini, vandali, saraceni e turchi ottomani. E poi, seguendo la rotta atlantica, a portoghesi, spagnoli, olandesi ed inglesi.

Schiavismo, punto. Senza se e senza ma. Accogliere, magari salendo platealmente a bordo di una nave ONG, significa chiudere gli occhi di fronte alla piaga del moderno schiavismo. Lasciarli poi vivere in centri di accoglienza al collasso o in baraccopoli dall’igiene precario e preda di sfruttatori è altrettanto disumano.

Dov’è, d’altronde, la dignità se una persona in cerca di una vita migliore si ritrova ad accattonare davanti ai supermarket? Magari animata dalla, vana, speranza che un giorno sia accolta quell’istanza che lo riconosca quale rifugiato, rigettata in verità 9 volte su 10?

La maggior parte dei “migranti” che vivono nelle nostre città si trova in una sorta di limbo. Clandestini ma in attesa di riconoscimento; poi se il riconoscimento non arriva ancora clandestini esposti ai pericoli della clandestinità stessa. Non “esisti” per la legge, non puoi lavorare, rischi il rimpatrio se ti beccano e ti offri per qualunque cosa pur di sopravvivere. Anche delinquere.

E a farne le spese, oltre agli schiavi, sono le persone comuni che vivono nelle periferie, la cui rabbia per i pre esistenti disservizi, per la mancanza di opportunità e per un degrado crescente, aumenta con l’inserimento forzato dei clandestini.

Una linea che conosciamo bene: “scaricati” in periferia poi, se scoppia una rivolta di cittadina, la colpa è dei “razzisti”. Una ricetta che non aiuta bianchi e neri ad integrarsi, innalzando invece il livello delle tensioni sociali.

Per provare almeno a porre un argine a questa situazione è necessario il boots on the ground in Libia. Un’operazione internazionale di polizia, marittima e terrestre, che sorvegli coste ed entroterra, chiudendo centri raccolta – lager, reprimendo la criminalità che nasce attorno alla disperazione ed all’attesa di un imbarco. E che vigili sulle tappe della tratta nel Fezzan ed in Cirenaica, in particolare nell’antico snodo carovaniero di Cufra.

Quanto a chi sale sulle navi od accusa il Governo italiano di violare i diritti umani è o in malafede o completamente cieco. Finché i trafficanti sapranno che quella per l’Italia è una rotta “libera”, i perigliosi viaggi per mare non si interromperanno neanche a fronte della perdita di vecchi, di donne e di bambini. In Albania 25 anni fa come nella Libia di oggi gli scafisti troppi problemi non se ne fanno.

 

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(Immagine di sfondo da YouTube)
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