MPS: un disastro senza responsabili

L'ad di Mps Marco Morelli durante la conferenza stampa che ha tenuto a Milano dopo l'incontro con gli analisti, 25 ottobre 2016. ANSA/MATTEO BAZZI

Com’era prevedibile, secondo la migliore tradizione italiota, la lunghe e complesse vicende giudiziarie che interessano MPS si stanno un pò alla volta dissolvendo nel nulla, come una serie di colorate e inutili bolle di sapone. La crisi che ha sconvolto e quasi annientato quello che si vantava di essere il terzo gruppo bancario nazionale resterà molto probabilmente senza responsabili.

Numerosi i filoni di indagine aperti negli ultimi anni: si va dall’accusa di ostacolo alla vigilanza, al processo per appropriazione indebita dei manager infedeli, a quello, in corso a Milano, sul presunto aggiottaggio commesso nelle operazioni di acquisto di Antonveneta e di sottoscrizione dei derivati Alexandria, Santorini e Chianti classico.

La prima vicenda, che vedeva imputati Giuseppe Mussari e l’allora direttore generale Antonio Vigni, si è chiusa con una pronuncia della Corte di Cassazione che ha stabilito che il fatto non sussiste. Esito non diverso ha avuto l’inchiesta per appropriazione indebita. Personaggio-chiave di tale vicenda è Gianluca Baldassarri, all’epoca responsabile dell’area finanza del Monte: secondo gli inquirenti, Baldassarri, che ha subito otto mesi di custodia cautelare, avrebbe dato vita a una sorta di associazione a delinquere, la famosa banda del 5%, finalizzata a intascare “creste” su operazioni di finanza derivata sottoscritte dal Monte, addirittura inventandosi operazioni fittizie, a tutto danno della banca, al solo scopo di incassare commesse. Ebbene, anche in questo caso, i giudici, in primo grado, hanno optato per la piena assoluzione, stabilendo che il fatto non sussiste. In altre parole, la provenienza del denaro contestato a Baldassarri è lecita e le operazioni sono legittime. Insomma, un mucchio di soldi guadagnati onestamente, con fatica e impegno. Difficile ipotizzare una fine differente anche per la terza e ultima inchiesta, quella relativa all’ipotesi di aggiottaggio.

Nessuno, sia chiaro, invoca un colpevole ad ogni costo e neppure la riapertura di anacronistiche cacce alle streghe. Tuttavia, qualche risposta, anche giudiziaria, l’opinione pubblica e i cittadini – a cominciare dai tanti dipendenti onesti e appassionati che si sono spesi per anni a favore di MPS – se la aspettano, e a qualche risposta hanno persino diritto. I senesi, e non solo, hanno assitito attoniti al crollo di un sistema che pareva inattaccabile, imploso improvvisamente come il più fragile dei castelli di carta. Simbolo di tutto ciò, l’esilio volontario di Giuseppe Mussari, passato da pupillo del PD dalemiano e dominus indiscusso della città a paria sgradito ai più, dedito ormai a lunghe cavalcate nella tenuta di Degortes.

La definitiva uscita di scena di personaggi spesso di assai scarsa autorevolezza pare tuttavia una consolazione alquanto magra. Un istituto che ha fatto la storia del sistema bancario italiano, di fatto, non esiste più. I manager che guidavano MPS negli anni della caduta, un pò alla volta, vengono giudicati non penalmente responsabili. Difficile credere che possano essere ritenuti responsabili per manifesta incapacità professionale e magari costretti a restituire bonus, buonuscite, gratifiche e stipendi stellari, indebitamente percepiti. Mussari, del resto, fu messo da Profumo e dai suoi pari a capo dell’ABI, segno che di banche e di finanza se ne doveva intendere. La testa di Mussari, ergo, non si può chiedere, pena il rischio di far saltare il banco. Banco che non salta mai, nel senso che il potere finanziario è l’unico potere davvero assoluto, nel quale i vertici fanno ciò che vogliono senza rispondere a nessuno e senza mai pagarne lo scotto, almeno economico. Come dimostra il caso recentissimo e scandaloso dei bonus vergognosi percepiti dai manager di Deutsche Bank, responsabili di una crisi che comporta il taglio di circa 18.000 posti di lavoro.

Come disse a suo tempo Stefano Bisi, massone orgogliosissimo, gran maestro del GOI, nonché direttore del Corriere di Siena, il sistema senese, in larga misura specchio dell’Italia, si reggeva su un groviglio armonioso di poteri e di interessi (politica, finanza, massoneria, curia, etc.). Venuta meno l’armonia, il groviglio ha rivelato il suo volto autentico, e chi passeggia per Siena è costretto a osservare le macerie ideali sparse un pò ovunque del crollo generalizzato di un sistema che i meno ingenui si attendevano da tempo. Senza neppure la consolazione di poter individuare, in modo certo e inconfutabile, colpe e responsabilità.

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