I monumenti fascisti e la ridicola polemica per rimuoverli

Quando Benito Mussolini, alla fine degli anni trenta, si preparava a ospitare l’Esposizione universale del 1942 a Roma, commissionò la costruzione di un nuovo quartiere a sudest della città che chiamò Esposizione universale Roma (Eur), mostrare la rinnovata grandezza imperiale dell’Italia. Il fulcro del quartiere era il Palazzo della civiltà italiana, un’elegante meraviglia rettangolare con una facciata di archi astratti e file di statue neoclassiche alla base.

L’Esposizione universale fu annullata a causa della guerra, ma il palazzo, detto anche Colosseo quadrato, è ancora lì. Sopra c’è incisa una frase di un discorso che Mussolini tenne nel 1935, in cui descrive gli italiani come: “un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”.

Nel 2004 lo Stato lo ha riconosciuto come sito di “interesse culturale”, e nel 2010 è stato restaurato parzialmente e cinque anni dopo la casa di moda Fendi ha trasferito lì la sua sede.

Di recente stanno piovendo critiche sull’Italia perché, mentre gli Stati Uniti hanno avviato un controverso processo di smantellamento dei monumenti del loro passato confederale, e la Francia ha cambiato nome alle strade che portavano il nome del maresciallo collaborazionista Pétain, il nostro Paese ha lasciato i suoi monumenti fascisti lì dove sono. Per fortuna, aggiungerei.

 

Molti dei geniali critici sottolineano che anche in Germania non è più presente alcun monumento che sia direttamente riconducibile al Terzo Reich. Sarà il caso di fargli notare che la Germania è stata bombardata a tappeto, e che di monumenti non ne è rimasto proprio nessuno nelle città ridotte ad un cumulo di ciottoli.

L’architettura littoria patrimonio del nostro Paese, è una parte considerevole della nostra storia. Per rimuovere tutto ciò che ricorda il fascismo, come vorrebbe Laura Boldrini, dovremmo radere al suolo mezza Italia.

 

 

 

 

 

 

 
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