Mirco Alessi: la possibilità di rinascere

Il processo Alessi è stato un processo molto impegnativo, da poco concluso in grado di appello.

Mirco è arrivato a me tramite suo padre; quando ci siamo conosciuti in carcere, era già reo confesso di un duplice omicidio, ove la terza vittima si era salvata auto-defenestrandosi.

Il mio assistito aveva colpito il transessuale, da cui si diceva ricattato per il figlio, con oltre novanta coltellate violente ed un’altra ragazza estranea con diciotto.

Giustificava, anche a me avvocato, il drammatico epilogo con i ricatti che subiva dal transessuale e con un uso massiccio di cocaina e sostanze alcoliche.

Mi ribadiva che il suo gesto, seppur compiuto sotto l’effetto di alcool e droghe, era stato partorito dalla paura che la sua ex compagna, da cui aveva avuto un figlio (che nel 2016 aveva nove anni), fosse informata di questi suoi vizi: in questo consistevano i ricatti.

Eros e Thanatos: Amore per un figlio che ha portato alla morte.

Data la certezza sulla paternità del duplice omicidio (confessione, immagini, prove schiaccianti, telefonate confessorie…) prima del mio intervento, ed il fatto che l’imputato fosse stato ritenuto pienamente capace di intendere e di volere, la parte più importante della difesa ruotava sulla non sussistenza dell’aggravante della premeditazione dell’omicidio.

Molti, quasi tutti (colleghi e non), si chiedevano perché io non avessi acceduto al rito abbreviato – che avrebbe comportato uno sconto di pena – di fronte ad una tale, granitica, evidenza probatoria.

Ebbene, oggi, a posteriori, posso dire che è stata una scelta “maschia” e vincente, nonostante sia stata una durissima “battaglia” avanti alla Corte di Assise, la migliore della mia carriera professionale: il rito speciale, infatti, non mi avrebbe in alcun modo dato certezze in ordine alla cosa più importante per il mio assistito: evitare l’ergastolo, il  “fine pena mai” (anzi, con due omicidi volontari così gravi ed un tentato omicidio, peraltro aggravati da premeditazione e crudeltà, l’esito era abbastanza scontato anche in abbreviato).

La mia scelta coraggiosa, allora, si è orientata su due percorsi fondamentali in sede dibattimentale: risarcire i familiari delle vittime e far crollare la premeditazione (cosa complessa, visto che Mirco si era portato un grande coltello da casa in quella terribile notte) di cui il Pubblico Ministero era fermamente convinto.

Dopo essere riuscito nell’impresa risarcitoria, attraverso trattative complesse (il cui merito va anche alla civilista dell’Alessi, la Collega Maria Rosa Pisani), la mia difesa si è orientata nel far comprendere le sofferenze di Mirco durante la vita e che quella notte non fosse stato l’esito di una lucida e premeditata volontà omicidiaria.

Molti, infatti, confondono il concetto di reato “preordinato” con quello di reato “premeditato”… il primo è qualunque omicidio che sia voluto e deciso prima di commetterlo, comprendendo, ovviamente, tutti i casi in cui ci si procura un’arma prima di porre in essere il delitto; il secondo, invece, si ha quando tra il pensiero di commettere quel crimine e la sua realizzazione passa un importante periodo temporale che permetta una modifica dell’intenzione omicidiaria e che denoti, dunque, una particolare fermezza delinquenziale (si pensi ai delitti di mafia, con vittima designata molto tempo prima).

Ovviamente, il discrimine è complesso, rientrando molto spesso in qualcosa che non si manifesta all’esterno ma che rimane nascosto nella psiche del reo.

A mio avviso, ciò che è risultato vincente nella difesa Alessi è l’aver dimostrato che Mirco si fosse armato un’ora prima di fare visita alla vittima (spazio temporale compatibile anche con il “solo” dolo “preordinato” ) e che vi fossero molti elementi che facevano propendere per una non progettualità: Mirco aveva chiesto, via sms, di avere un rapporto sessuale gratuito (per una volta), cosa incomprensibile se fosse uscito di casa con la ferma intenzione di uccidere; Mirco non aveva in alcun modo pianificato una fuga (non si era munito di denari, biglietti aerei…); Mirco, pur non consegnandosi subito, aveva fatto di tutto per essere arrestato, arrivando lui stesso a chiamare i carabinieri.

Devo dire, però, che la sentenza di primo grado, quando ho ascoltato la condanna a trenta anni, mentre tutti scommetevano sull’ergastolo, è stato un momento importante e di grande realizzazione professionale… Mai la scelta di non adire il rito abbreviato è stata più importante e giusta.

Avanti la Corte di Assise di Appello la pena è stata ulteriormente ridotta a ventotto anni.

E’ una pena corposa, ma è come se Mirco fosse nato un’altra volta con questa sentenza; il “fine pena mai”, infatti, sia a livello psicologico che pratico, per un uomo di quarantaquattro anni, padre di un bambino di dieci, avrebbe segnato un profondo distacco con una luce in fondo al tunnel.

Oggi, Mirco, disintossicato, sta frequentando corsi scolastici e di cucina e non è più la stessa persona che ho conosciuto nel 2016.

Oggi, vede la luce.

Credo che questa brutta vicenda, nella sua parte conclusiva, sia un caso di perfetta applicazione concreta del principio costituzionale di rieducazione e riabilitazione del condannato. 

Mirco Alessi è nato nuovamente: avrà una seconda vita.

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