Millecinquecento bambini dell’Isis imprigionati e torturati in Iraq

La denuncia emerge in un rapporto di Human Rights Watch. Sia il governo iracheno che quello regionale del Kurdistan sarebbero responsabili di detenzioni arbitrarie e di aver estorto confessioni con la tortura

Un rapporto di Human Rights Watch denuncia l’uso della tortura nei confronti di molti dei 1500 minori catturati da curdi e forze di sicurezza irachene in Iraq, sospettati di far parte dell’Isis. Il documento di 53 pagine precisa che fra loro ci sono 185 stranieri. Sia il governo iracheno che quello regionale del Kurdistan sarebbero responsabili di detenzioni arbitrarie e di aver estorto confessioni con la tortura.

Baghdad ed Erbil hanno respinto le accuse e ribattuto che tutti i processi si sono svolti “nel rispetto delle leggi”. La ong ha però pubblicato numerose testimonianze. Lo scorso novembre è riuscita a parlare con 29 minori e 19 di loro hanno raccontato di essere stati torturati, picchiati con tubi di gomma, sottoposti a scosse elettriche o appesi per i polsi o per le caviglie. Molti, hanno raccontato, si erano uniti all’Isis per poter mangiare o per timore di essere uccisi. Per Joe Becker, responsabile dei diritti dei bambini di Hrw, “questo è un approccio punitivo, non di giustizia, che avrà conseguenze negative per il resto della vita delle vittime”.

Un diciasettenne detenuto dalle forze irachene ha raccontato di essere stato picchiato sulle piante dei piedi e tenuto appeso per i polsi durante gli interrogatori, finché non ha confessato. Dopodiché è stato trasferito nella prigione vicino all’aeroporto di Abu Ghraib di Baghdad, dove è rimasto per sette mesi prima di essere rilasciato: “Ogni giorno era una tortura, mi picchiavano in continuazione”.
 
Un 14enne ha detto di essere stato picchiato con tubi di gomma finché non ha ammesso di essere dell’Isis e di aver lavorato per l’organizzazione. Un coetaneo è stato invece torturato dagli uomini dell’Asaysh, la polizia curda della Regione autonoma del Kurdistan. Molti dei minori sono stati poi rilasciati perché emerso che non facevano parte dello Stato islamico. La maggior parte sono di Mosul o della provincia di Niniveh e ora non possono tornare a casa per timore di vendette o maltrattamenti.

Tra giustizia e vendetta

Il rapporto di Hrw si inserisce in contesto molto difficile. La fine del califfato a Mosul è stata brutale, con i jihadisti irriducibili massacrati senza pietà, dopo che per tre anni avevano imposto un regime del terrore su un terzo dell’Iraq. Il problema si pone anche con i combattenti minorenni catturati in Siria. Molti sono iracheni e alcuni sono stati consegnati a Baghdad dalle forze curdo-siriane ancora impegnate nell’assedio dell’ultimo villaggio del califfato, Baghuz, al confine fra Siria e Iraq. Nei giorni scorsi altri 3000 civili e 500 combattenti si sono arresi ma non è chiaro quanti ne rimangano nell’impressionante rete di tunnel che i jhadisti hanno scavato sotto le case e sotto il Jabal Baghuz, la collina che sovrasta la cittadina.

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