MARCIA SU BRUXELLES

EUROPARLAMENTO

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MARCIA SU BRUXELLES

Giovedì 1 febbraio sono iniziate le proteste dei lavoratori agricoli innanzi al Parlamento Europeo per manifestare contro le politiche comunitarie estremamente stringenti .

Durante queste proteste è stata persino abbattuta una statua del 1872 a Place du Luxembourg.

Quello successo non è un fulmine a ciel sereno ma è la sintesi di quello che è avvenuto in vari paesi europei.

Ma veniamo ai fatti.

La scintilla è partita dal Nord Europa, precisamente dalla Germania lo scorso dicembre, quando, il governo federale, ha proposto una prima bozza del Bilancio 2024, nella quale, a seguito di un buco di 60 miliardi di euro nelle casse del paese, l’esecutivo avrebbe dovuto porvi rimedio introducendo diversi tagli alla spesa pubblica. A rimetterci, in particolare, sarebbe stato anche il settore agricolo, attraverso l’aumento della tassazione, il taglio dei sussidi agricoli, l’eliminazione di alcune leve fiscali, tra cui l’agevolazione sul gasolio. Alla notizia degli aumenti e dei tagli sono seguite subito le proteste, che hanno portato il governo a fare un mezzo passo indietro; la riforma dovrebbe entrare in vigore in modo graduale, in più anni, così da permettere alle aziende di adeguarsi. Ma questo parziale passo indietro non è bastato a fermare la rivolta, nota come “la protesta dei trattori”; a questa, infatti, si sono uniti, successivamente, anche gli agricoltori francesi, italiani, polacchi, rumeni e greci rendendo sostanziale l’allargamento delle proteste nel resto dell’Europa.

Il 23 gennaio la rivolta è dilagata in Francia, con gli agricoltori che hanno effettuato blocchi stradali in tutto il Paese, dopo un incontro non risolutivo con il governo

Tra le rivendicazioni degli agricoltori francesi si evidenziavano: la rinuncia a introdurre nuovi divieti sui pesticidi, il blocco degli aumenti di prezzo del gasolio per i trattori, la totale applicazione della legge che obbliga il settore industriale a pagare di più gli agricoltori e risarcimenti più veloci per i i disastri naturali. In Francia, il presidente Emmanuel Macron si è visto costretto a stare dalla parte degli agricoltori per la durezza della contestazione e a chiedere a Bruxelles un trattamento particolare per i suoi agricoltori.

Il 22 gennaio, anche in Italia, arriva la protesta degli agricoltori, attraverso blocchi stradali

Le rivendicazioni che riguardano i nostri agricoltori sono comuni: redditi e aiuti più alti, no ai rigidi paletti del Green Deal che non farà altro che rendere il settore agricolo europeo meno competitivo rispetto alle importazioni, mantenere un regime fiscale adeguato al mondo agricolo e, soprattutto, una revisione della politica dell’Unione Europea. Da quest’anno, infatti, scatta l’obbligo di tenere incolto il 4% dei terreni seminati sopra i 10 ettari. Come dichiarato nei giorni scorsi dal presidente dei Comitati Riuniti Agricoli (CRA), Danilo Calvani, le proteste continueranno a oltranza per fare sentire la voce di un settore in grave difficoltà che non accetta le attuali politiche europee sull’agricoltura, non riconosce il ruolo di rappresentanza dei grandi sindacati del settore primario italiano ed è deluso anche dalle politiche dell’attuale governo in campo agricolo. “Le associazioni agricole non hanno motivi per manifestare contro il governo, perché non è il governo che causa quello che abbiamo patito negli ultimi anni, quindi protestano in Europa”.

Lo ha detto il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, aggiungendo: “Siamo dalla parte degli agricoltori, uomini e donne liberi che vivono di lavoro e terra e devono essere messi in condizione di farlo: non chiedono nè sussidi, nè il reddito di cittadinanza e noi siamo con loro. In 16 mesi di governo, abbiamo dato centralità al settore agricolo in Italia, abbiamo compiuto scelte che hanno come obiettivo la tutela del reddito e la crescita dei nostri agricoltori e pescatori con più di 10 miliardi per la ripresa degli investimenti, la transizione energetica e la promozione del made in Italy e dell’agroalimentare e abbiamo considerato prioritaria la gestione delle emergenze, sostenendo i settori in crisi”.

L’agricoltore si trova tra due fuochi: da un lato ci sono i costi incomprimibili (mangimi, sementi, gasolio, fitofarmaci), dall’altro la grande distribuzione organizzata che contribuisce a limitare, in maniera considerevole, il margine di guadagno residuale, quello scaturente dal rapporto tra il prezzo con il quale l’agricoltore riesce a vendere i prodotti al grossista e i costi di produzione imposti dalle multinazionali che lavorano nel settore agro alimentare. In Italia l’intero sistema agro-alimentare, dalla produzione primaria al commercio al dettaglio, incide per il 15% sul fatturato dell’economia nazionale. Il sistema genera, infatti, un valore complessivo pari a 549 miliardi di euro

Al di là delle dichiarazioni del Ministro dell’agricoltura, si ha quasi l’impressione, a livello internazionale, che l’obiettivo sia quello di scardinare un sistema che vede l’uomo scegliere e progettare le proprie attività; una campagna per disincentivare l’agricoltura del piccolo per incentivare quella del grande latifondista, ennesima puntata della lotta di classe portata dall’alto verso il basso con l’obiettivo di azzerare un’intera cultura legata alla campagna, all’agricoltura tradizionale, spostandosi, in questo modo, verso le futuribili biotecnologie. Sembra quasi che si voglia tornare ad un sistema di tipo feudale nel quale gli agricoltori sono costretti a lavorare a beneficio di una sparuta élite di persone mentre il popolo è costretto a mangiare altro (carne sintetica, farina di insetti, ecc ecc).

Le proteste sembrano non placarsi. Vedremo cosa accadrà nei giorni a venire.

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