M5S: la triste parabola di un partito 2.0

Movimento 5 Stelle, Di Maio

Movimento 5 Stelle, Di Maio

Qualche osservatore, non molti per la verità, è stato in grado di cogliere l’essenza del dramma che si sta producendo in queste ore: la fine ingloriosa del M5S, che non saputo prendere il posto della forza politica che era nato per rimpiazzare. Questo è ciò che sta avvenendo, in estrema sintesi.

Sul M5S si è scritto di tutto negli ultimi anni, al punto che pochi fenomeni politici possono vantare di essere all’origine di una letteratura, anche scientifica, così ampia. Quello che pochi, tuttavia, hanno compreso, è il fatto che l’anti-europeismo dei pentastellati fosse una mera posa, se non addirittura uno stratagemma per fare breccia in un popolo, il nostro, divenuto irrimediabilmente scettico verso la UE, dopo le ubriacature europeiste e le follie prodiane degli anni Novanta.

Qualcuno ha persino scritto che il colpo di grazia al M5S è stato dato dalle recenti elezioni europee. Ma non con riferimento ai risultati elettorali non proprio brillanti ottenuti in quell’occasione da Casaleggio e Company; con riferimento, semmai, al fatto che la pattuglia pentastellata spedita a Strasburgo, annusata l’aria, avrebbe di buon grado accettato di farsi assimilare dalla tecnocrazia europea, dotata di un fascino a quanto pare irresistibile. Insomma: una formattazione in piena regola, i cui effetti si sarebbero poi riverberati sul Movimento tutto e sui suoi leader nazionali.

Analisi totalmente errata: la pattuglia pentastellata si è trovata sin da subito a proprio agio tra il vetro e l’acciaio dei palazzi europei per la semplice ragione che il M5S era europeista sin dall’origine; l’europeismo, anzi, è parte integrante del DNA della creatura voluta da Gian Roberto, e dei suoi ispiratori, che non si fatica a immaginare stranieri. Il M5S non avrebbe potuto essere ostile alla UE, se è vero che la sua vocazione, nel medio-lungo periodo, era quella di rimpiazzare a “sinistra” il PD, che di quella ideologia, in Italia, è il principale rappresentante.

Le virgolette non sono casuali. Poche cose sono in effetti meno a sinistra del PD, a meno che non s’intenda, per sinistra, il liberalismo di sinistra, ovvero ciò che resta della sinistra dopo il tramonto inglorioso del marxismo. Vale la pena ripetere, in sintesi, la lezione del grande Augusto Del Noce: il marxismo e il capitalismo erano creature gemelle, poiché condividevano l’identica matrice borghese; il marxismo, tuttavia, rappresentava una sorta di religione secolarizzata, poiché in esso era fortissima la presenza di una dimensione escatologica (i tempi nuovi rappresentati da una umanità ormai libera dalla lotta di classe e dal giogo della proprietà privata); una volta conclusa la parabola marxista, e quindi venuta meno del tutto la dimensione escatologica, la sinistra non poteva far altro che ridursi a liberalismo di sinistra, ovvero a una ideologia totalitaria e radicalmente anti-umana, perfetta nella misura in cui si rivelava capace di offrire una stampella ideale al capitalismo, ovvero all’altro da sé che Marx aveva inteso combattere.

I temi in agenda in tutte le formazioni liberal a livello globale sono una perfetta conferma di ciò: evaporati del tutto i diritti sociali, la difesa del lavoro, la lotta all’emarginazione e alla povertà, ciò che sopravvive sono solo i diritti civili, nel senso della Cirinnà, ovvero una indefinita estensione del novero delle libertà individuali, in cui è spesso difficile distinguere il diritto dal mero desiderio, e nella quale è evidente la fondamentale matrice illuminista, ovvero l’idea che la società sia composta da monadi individuali e isolate, protese soltanto ad affermare il proprio ego in un contesto di totale desertificazione sociale. Da una parte, il cittadino solo, che si crede libero e intelligente, poiché può sperare di trasformare i propri desideri e le proprie pulsioni in diritti giuridicamente azionabili; dall’altra, poteri tecnocratici di ogni tipo, espressione del capitalismo terminale oggi trionfante, che, promettendo democrazia e libertà, distruggono ogni parvenza di rappresentanza politica e condannano il cittadino, spesso inconsapevole, a una condizione di disperante solitudine.

Ebbene, tutti o quasi, gli ingredienti di questa ideologia sono presenti nel programma del M5S. Vi è qualche ingenuità o qualche eccessiva impuntatura (in tema di infrastrutture, ad esempio, o di gestione dei rifiuti), ma non vi è nulla che non possa piacere al PD, nuova controparte della futura coalizione di governo. Vi è persino qualche gocciola di socialità, uno spruzzo di diritti sociali, che al Nazareno non possono che guardare con piacevole malinconia: un vecchio Amarcord, certo di pregio non felliniano.

Ma per quello che qui interessa, è la lezione di Del Noce che nel programma dei 5S trova una conferma eclatante. Un esempio a caso: la questione ambientale, espressa dal sintagma “decrescita felice”. Trattasi niente meno che della declinazione di uno dei temi forti del liberalismo di sinistra, la cui agenda politica viene predisposta in luoghi assai lontani dalle assemblee parlamentari; è semplicemente la diretta espressione della dimensione profondamente anti-umana della ideologia politica post-marxista, una cultura della morte, materialista, denatalista, abortista e satanica, tipica dell’ambientalismo criminale.

Nei palazzi di Bruxelles, alle orecchie delle classi dirigenti europee, questi temi suonano dolci come una fuga di Bach. E’ in Europa, non a caso, che il tema ambientale è divenuto ormai da tempo l’unico cavallo di battaglia da utilizzare per spingere nella direzione di una integrazione sempre maggiore e non voluta dalla maggioranza dei cittadini. È in Europa, e non altrove, che è spuntata Greta, certo non spontaneamente, soltanto perché è una fanciulla sveglia e sensibile, come i media mainstream vorrebbero farci credere.

Ma nella mente di chi ha creato Greta, e in quella di Casaleggio e di chi vi sta dietro, il problema non è lottare contro la produzione smodata di plastica o promuovere campagne di sensibilizzazione per la raccolta intelligente dei rifiuti. Nella mente di questi signori, a inquinare non è la plastica, a inquinare è l’uomo: è l’uomo il nemico da combattere. Orbene, nulla è più lontano di tale prospettiva dalle radici, non solo cristiane, ma anche greco-romane, della identità europea, secondo le quali l’uomo non può che essere al centro dell’universo, in quanto mistero insondabile, miscuglio prezioso di materia e di spirito.

Il liberalismo di sinistra si è fatto sin da subito, per le ragioni già viste, interprete di questa ideologia. I 5S, in quanto partito 4.0, avrebbero dovuto portare ancora più avanti e più a fondo la lotta. Avevano tutto: gli strumenti, il savoir faire telematico, la freschezza derivante dalla postura movimentista. Un vecchio partito, nato dalla fusione a freddo mai metabolizzata tra ex DC ed ex PCI, con i vari D’Alema, Prodi e Bersani, non avrebbe potuto resistere alla carica degli arditi pentastellati.

E invece andrà a finire diversamente: il M5S pagherà il prezzo di un’alleanza suicida stretta con il soggetto politico che avrebbe dovuto rimpiazzare. Il M5S sparirà. Non oggi, non domani, non tardi. Dalle parti del Nazareno la sanno troppo lunga, fanno politica da sempre; non vincono mai, eppure governano sempre.

R.I.P Movimento 5 Stelle: sic transit gloria mundi! 

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