L’Italia che l’IA non potrà mai sostituire

L’Italia che l’IA non potrà mai sostituire

Bloomberg ha fatto i calcoli: l’IA può sostituire il 53% delle attività di un analista di mercato e il 67% di quelle di un rappresentante commerciale. I ruoli manageriali?

Pure hanno il 21% di rischio, ma il gioco sta diventando chiaro: chi decide resta, chi esegue sparisce

Dati chiave (2025):

• 184.000 licenziamenti tech per IA (dato aggiornato a ottobre 2025)
• 605 persone al giorno perdono il lavoro per automazione
• Il 92% dei lavori IT subirà trasformazioni radicali
• Il 30% delle ore lavorate (negli USA) potrebbe essere automatizzato entro il 2030
• Solo il 2,5% dell’occupazione USA è a rischio immediato secondo Goldman Sachs (ma è una stima conservativa)

Lo stesso CEO di Microsoft ha dichiarato che oggi il 30% del codice aziendale è scritto da IA; nel frattempo, il 40% dei licenziamenti recenti ha colpito proprio gli ingegneri del software

È un paradosso solo apparente: l’IA non sta “liberando” i lavoratori qualificati dalla noia, sta sostituendo intere funzioni. IBM, implementando AskHR, ha ridotto un intero dipartimento: 11,5 milioni di interazioni gestite quasi senza supervisione umana.

Ma in mezzo a questo scenario c’è un dettaglio cruciale, spesso ignorato: i lavori che resistono e cresceranno non sono quelli digitali, ma quelli manuali, relazionali, artigianali. Infermieri, elettricisti, idraulici, muratori, manutentori, artigiani specializzati: tutti ruoli che richiedono giudizio umano, manipolazione fisica, capacità di adattarsi a situazioni impreviste

Tutto ciò che l’IA, nonostante i progressi, fatica ancora enormemente a replicare.

Ed è qui che entra in gioco l’Italia

Il nostro Paese possiede un patrimonio che nessuna tecnologia può rimpiazzare: la cultura della mano, l’abilità dell’artigiano, il sapere dei mestieri, la capacità di trasformare la materia in bellezza. È lo stesso spirito che ha costruito le nostre città, i nostri laboratori, le nostre botteghe, i nostri capolavori. È ciò che ha reso l’Italia un marchio mondiale prima ancora che esistessero i brand.

Per anni una narrazione distorta ha spinto i giovani a considerare lavori come elettricista, idraulico, muratore, falegname, cuoco, tecnico specializzato come ruoli “di serie B”, quasi un ripiego

Mentre la cultura dominante spingeva verso lauree sovraffollate, carriere digitali immaginate come sicure e prestigiose, proprio quei lavori “vecchi” hanno continuato a reggere il Paese. E oggi tornano centrali.

Il futuro non sarà soltanto degli algoritmi, ma anche delle mani. Le professioni che richiedono precisione fisica, intelligenza emotiva, capacità di intervento reale nel mondo continueranno a essere indispensabili. E l’Italia possiede, più di qualunque altro Paese europeo, il DNA perfetto per farle prosperare.

In un’epoca in cui molte nazioni rischiano di diventare dipendenti dall’automazione, noi possiamo restare grandi proprio tornando alla nostra identità profonda: la qualità del saper fare, la capacità di lavorare con cura, di costruire, riparare, restaurare, creare

L’IA potrà essere un alleato, ma non potrà sostituire la manualità italiana, la sua sensibilità tecnica, la sua cultura millenaria del dettaglio.

Non si tratta di nostalgia, ma di strategia: mentre molti Paesi dovranno reinventarsi, l’Italia possiede già la risposta. Investire nei mestieri, ridare dignità agli artigiani, formare tecnici qualificati, accompagnare i giovani verso professioni concrete che l’IA non può replicare significa proteggere il lavoro, sostenere l’economia, mantenere il nostro ruolo nel mondo

L’Italia resterà grande perché il suo futuro non è affidato solo ai codici o agli algoritmi, ma alle mani che sanno trasformare la realtà. Mani che l’intelligenza artificiale non può imitare.

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