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Home Politica

L’Europa da ragione all’italia e accoglie le proposte del governo Meloni

di Simone Margheri
7 Novembre 2025
In Politica
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narrazione unilaterale
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L’Europa da ragione all’italia e accoglie le proposte del governo Meloni

Scampato pericolo della fine delle auto endotermiche nel 2035 grazie al governo italiano.

“L’Italia piega Bruxelles: dal fanatismo green a un realismo climatico che salva industria e lavoro”

Disinnescata almeno per ora la bomba della follia ecogreen.

L’Unione Europea volta pagina sulla sua politica climatica. Dopo anni di rigidità ideologica e obiettivi spesso scollegati dalla realtà industriale, i ministri dell’Ambiente dei Paesi membri hanno approvato la revisione della Legge europea sul Clima, fissando un nuovo traguardo: riduzione del 90% delle emissioni nette entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. Dietro la diplomazia dei comunicati, emerge un dato politico chiaro: il compromesso porta la firma dell’Italia. Roma è riuscita a costruire, attorno alle proprie proposte, una coalizione di dieci Paesi che ha imposto un cambio di passo.

Le richieste italiane accolte da Bruxelles

Secondo quanto confermato dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, quattro richieste italiane sono state incluse nel testo finale: rinvio dell’applicazione dell’ETS2 (il sistema di scambio delle quote di emissione per edifici e trasporti) al 2028; riconoscimento del ruolo dei biocarburanti come tecnologia di transizione; utilizzo fino al 5% di crediti internazionali di carbonio per compensare le emissioni; e un ulteriore 5% di “crediti domestici” legati alla capacità nazionale di assorbimento.

Insieme, questi punti riducono la rigidità del quadro europeo, introducendo margini di flessibilità che gli operatori industriali giudicano fondamentali per evitare un tracollo competitivo

Il rinvio dell’ETS2, in particolare, evita che milioni di cittadini europei subiscano un immediato aumento dei costi energetici legati al riscaldamento domestico e al trasporto privato. Per l’Italia, dove oltre il 70% delle abitazioni è ancora servito da caldaie a gas e il parco auto è composto per l’80% da veicoli a motore termico, la misura significa tempo prezioso per adattare infrastrutture e filiere senza impatti sociali devastanti.

Il fallimento del “Green Deal talebano”

Negli anni scorsi, la spinta ultra-ambientalista di Bruxelles aveva imposto obiettivi spesso difficilmente raggiungibili, soprattutto per le economie manifatturiere. L’industria automobilistica europea ne è l’esempio più evidente: nel 2015 l’UE rappresentava il 27% della produzione mondiale di autoveicoli; oggi è scesa sotto il 20%, mentre la Cina è salita oltre il 35%. I marchi storici europei, da Volkswagen a Renault, attraversano una crisi di identità tecnologica e di redditività.

Le politiche che puntano esclusivamente sull’elettrico, senza valorizzare alternative come biocarburanti, idrogeno e motori termici di nuova generazione, hanno prodotto l’effetto opposto: aumento dei costi, perdita di occupazione e un vantaggio competitivo enorme per l’industria asiatica, che controlla oggi oltre il 75% della produzione globale di batterie al litio

In questo contesto, la linea italiana non è negazionista né arretrata: è una chiamata al buon senso. Come ricordava anche Romano Prodi, “la scadenza del 2035 per il bando alle auto termiche è una scelta che avvantaggia soltanto la Cina”, una posizione che testimonia come la critica a una transizione troppo ideologica non sia appannaggio esclusivo del centrodestra.

Un pragmatismo che riporta il dibattito nella realtà

La strategia di Giorgia Meloni e del suo governo si è rivelata quella di un pragmatismo costruttivo: non demolire gli obiettivi ambientali, ma modificarne i tempi e gli strumenti affinché siano compatibili con la crescita e la tutela dell’occupazione. L’Italia è riuscita a spostare il baricentro del dibattito europeo, ponendo la competitività industriale e la sostenibilità sociale sullo stesso piano della riduzione delle emissioni.

I dati confermano la necessità di questo approccio. Secondo Eurostat, tra il 2019 e il 2023 l’occupazione industriale europea è scesa del 4,2%, con punte del -8% nel settore automotive. In Italia, oltre 70.000 posti di lavoro diretti e indiretti sono a rischio se la transizione energetica continuerà con l’attuale ritmo e struttura. Una politica ambientale che ignora queste cifre smette di essere ecologica per diventare antisociale.

Dall’ambientalismo ideologico al “realismo verde”

Il nuovo equilibrio europeo rappresenta, in fondo, la fine del fanatismo green e l’inizio di una stagione più matura: quella del realismo climatico. Riconoscere che la sostenibilità non può essere imposta ma costruita passo dopo passo, con investimenti, tecnologie diversificate e tempi compatibili con l’economia reale.

L’Italia ha mostrato che si può difendere l’ambiente senza sacrificare industria e lavoro, e che il futuro verde dell’Europa non può essere una marcia punitiva, ma una corsa condivisa

Per la prima volta dopo anni, la politica europea sembra tornare ad ascoltare non solo i numeri delle emissioni, ma anche quelli dei posti di lavoro e delle imprese. È un cambio di paradigma che porta la firma di Roma — e che potrebbe segnare la fine di un’epoca di ambientalismo dogmatico e l’inizio di una transizione finalmente umana, sostenibile e realistica.

Quindi bene così anche se per una seria politica ecologica economicamente e socialmente sostenibile rimane ancora molto da fare e saranno i cittadini europei votando chi ha sostenuto questo cambio di passo a confermare la correttezza delle proposte italiane in Europa.

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Tags: AmbientalismoEUROPAGIORGIA MELONIGREENIN EVIDENZA
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