Chi ha i capelli grigi ricorda bene il ventennio 1970-90, nel quale le tedesche della DDR furono le grandi protagoniste di ogni disciplina riguardante l’atletica leggera.
I commentatori si sdilinquivano in lodi alle sportive ed al regime della Germania Est, che da piccola nazione di 17 milioni di persone si aggiudicò un impressionante numero di medaglie (409 in 5 edizioni delle Olimpiadi).
I soliti giornalisti radical chic filo-sovietici blateravano e facevano la loro figura, di fronte al grande pubblico cui non sfuggiva la mascolinità delle atlete e i loro record a dir poco sospetti.
Le Olimpiadi di Tokyo sono alle porte, e assistiamo trent’anni dopo a fenomeni simili a quelli già visti. Dove il testosterone attenta alla sportività. Atlete dopate allora, uomini che si sentono donne adesso.
Il segreto di Pulcinella
Alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, si seppe ciò che era chiaro a tutti, cioè che le atlete della Germania comunista erano state costrette a trattamenti medici devastanti.
Il caso di Heidi Kruger divenuta uomo
Heidi Krieger (nella foto in alto), lanciava il peso.
Più di tutte le altre, come un uomo: era imbottita di sostanze dopanti come l’Oral Turinabol, uno steroide che le altera i tratti somatici a tal punto da diventare maschili.
Con in corpo un tasso d’ormoni maschili di 17 a 1, (Ben Johnson, velocista canadese di origine giamaicana, aveva un rapporto di 10 a 1), Heidi, oltre ad ottenere la squalifica, fu anche vittima di una crisi d’identità e di un tentativo di suicidio.
Nel 1997 si sottopose all’intervento per cambiare sesso, assumendo successivamente il nome Andreas.
Krieger oggi è un uomo, con tanto di barba e alopecia, ed è sposato con l’ex nuotatrice Ute Krause.
La sua medaglia d’oro e quella di altre atlete per la DDR erano solo uno strumento di propaganda ad uso del partito comunista DDR.
Non soltanto le atlete dell’atletica leggera ma anche alcune nuotatrici come Cornelia Hender, Kathleen Nord, Kristin Otto e molte altre, furono trovate dopate fino al midollo, con sostanze che non venivano precedentemente testate sugli animali.
Le conseguenze
Tumori al seno, infertilità, depressione, disfunzioni di ogni genere ma soprattutto tanti suicidi.
Manfred Ewald, ex ministro dello sport e presidente del Comitato Olimpico della DDR, fu condannato a 22 mesi nel 2000 per aver imposto tale doping e l’uso della gravidanza come mezzo per far produrre al fisico femminile più ormoni maschili e di conseguenza sviluppare più forza.
Molte ginnaste, anche di soli quindici anni, furono costrette a concepire bambini con i rispettivi allenatori, per poi interrompere la gravidanza.
Pratiche mengeliane. Da DDR.
L’esercito Transgender dei giorni nostri
Esattamente come allora, anche ai giorni nostri, lo sport femminile è sotto attacco ideologico.
Al pari delle testosteroniche atlete del blocco comunista dopavano le loro prestazioni, anche adesso, uomini che si identificano come donne, pretendono di gareggiare con atlete biologicamente di sesso femminile.
Anche oggi, i giornalisti plaudono a queste ‘modernita‘, come allora la sinistra approva e solidarizza con loro, trasformando le Olimpiadi in palcoscenico di lotte politiche.
Come allora le medaglie sono solo uno strumento di propaganda ad uso del movimento LGBT.
Vediamo alcune di queste storie. Le più emblematiche.
CeCe Telfer
CeCe Telfer è un atleta Transgender statunitense, che vince da anni nei 400 metri ad ostacoli.
Ambiva ad andare alle Olimpiadi di Tokyo, e ci sarebbe andato, se non che il troppo testosterone lo ha tradito. Ma in patria continua a gareggiare.
È fuori dai requisiti indicati dalle linee guida del World Athletics, che dal 2019 ha stabilito i nuovi requisiti in base ai quali è possibile consentire agli atleti transgender di gareggiare nelle competizioni femminili.
Il tasso di testosterone rilevato nel sangue di un atleta che abbia compiuto una transizione da uomo a donna non deve superare i 5 nanomole per litro nell’arco di un periodo lungo 12 mesi. Prima era 10. Come Ben Johnson, ricordate?
Caster Semenya
L’ottocentista sudafricana Caster Semenya ne è un altro esempio: ha ormoni sia maschili che femminili ma ha fallito il minimo richiesto per i giochi olimpici, piazzandosi solo al quarto posto al meeting tedesco di Ratisbona.
Il dato significativo è che in questo caso non ha nemmeno effettuato la transizione da maschio a femmina, perché ormai è assodato che per il Comitato Olimpico non sia nemmeno più necessario per essere ammesso a gareggiare nella categoria femminile.
Laurel Hubbard.
Ed eccoci all’atleta neozelandese Laurel Hubbard.
Gareggia nel sollevamento pesi, ma all’epoca in cui gareggiava con i maschi aveva mediocri risultati.
Passato al settore femminile, le medaglie si sono susseguite.
Sarà il primo transgender della squadra neozelandese di sollevamento pesi a Tokyo.
“Sono grata per la gentilezza e supporto che molti neozelandesi mi hanno accordato” ha detto alla BBC.
Molti ma non tutti: la Belga Anna Vanbellinghen, che probabilmente dovrà confrontarsi con il 43enne Hubbard, ha definito la sua presenza alle Olimpiadi come “uno scherzo di cattivo gusto“.
Un brutto scherzo alle migliaia di atlete che si allenano sognando la competizione olimpica, dove lo spirito decubertiniano dovrebbe fare da padrone.
Ma poi subentra l’ideologia, e la sportività ed il buon senso devono ritirarsi, dinanzi alle accuse altrimenti di essere “bigotti”.
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