La tragedia del piccolo Leone e la necessità di rivedere le norme

E’ passata una settimana da quando il piccolo gatto Leone ci ha lasciato.

Un’ondata di indignazione sul web

Ondate di affetto, e voglia di giustizia – anche sommaria – si sono manifestate sul web e non solo e sono culminate con una manifestazione ad Angri (il paese dove sono accaduti i fatti) che ha visto raccogliersi circa 2000 persone nella serata di ieri.

Un gesto infame, una crudeltà senza senso nei confronti di una creatura indifesa che ha avuto la sola colpa di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.

La vicenda di Leone

Nella giornata dell’8 Dicembre, il piccolo Leone (così ribattezzato dai veterinari per la sua forza e voglia di vivere) è stato scuoiato vivo e lasciato agonizzante per la strada. E’ stato immediatamente ricoverato presso il canile di Cava de’Tirreni dove i veterinari hanno fatto l’impossibile per salvarlo, purtroppo invano. Dopo quattro giorni di agonia, Leone è spirato, almeno in questa ultima fase della vita, circondato dall’amore di chi ha provato a salvargli la vita.

La efferatezza del crimine e le dinamiche della vicenda ha colpito l’opinione pubblica generando un moto spontaneo di sdegno di cui non si ricordano precedenti.

Indagini in corso

Perchè è successo? La domanda che ricorre più spesso fra i tanti che non si spiegano come sia possibile un gesto di deliberata violenza nei confronti di una creatura indifesa. Una domanda a cui sperano di dare una risposta le indagini che sono coordinate dalla Procura competente che sta già acquisendo video e testimonianze. Un’indagine che si prospetta difficile anche per lo strano clima di omertà che gli operatori denunciano.

Molte le ipotesi che sono circolate ma per ora nessuna conferma. Il riserbo è d’obbligo e ogni fuga in avanti potrebbe essere deleteria.

Eppure, la mancanza di empatia, la attitudine alla crudeltà che si evince dalle modalità della condotta nonché da una certa “esperienza” che sembra trapelare da queste modalità, lasciano intendere un profilo ben delineato del responsabile (o dei responsabili). Almeno secondo alcuni esperti.

Le parole della Dr.ssa Ciavarolo

Un profilo che la psicoterapeuta Cristina Ciaravolo ha così sintentizzato: “È un indice di crudeltà immane, mancanza di empatia. Noi che ci occupiamo di violenza di genere mettiamo tra le caratteristiche di quello che potrebbe sviluppare in futuro delle violenze nei confronti delle donne gli uccisori di animali, per cui è un indicatore per noi molto importante“.

Ecco che dunque, l’evento in questione apre le porte a una doppia riflessione: 1) la violenza nei confronti degli animali, che purtroppo viene denunciata da anni, tra percosse e abbandoni; 2) la pericolosità sociale di questi individui che dagli animali – stando alle parole della Dr. Ciaravolo – potrebbero “passare agli esseri umani”.

Un doppio profilo che richiede risposte tanto sul piano punitivo che su quello preventivo.

Pene troppo blande

Dal primo punto di vista, la normativa attuale – l’art. 544 bis e ter c.p. – prevede una pena che va da 4 mesi a due anni per l’uccisione e da 3 a 18 mesi per il maltrattamento e lesioni. Una forbice edittale invero piuttosto bassa che consente non solo l’applicazione di tutte le misure alternative alla detenzione, ma anche, nella sua definizione base, l’automatica sospensione condizionale. Ne consegue pertanto che l’effetto punitivo è molto diluito.

E’ vero che sono previste circostanze aggravanti a effetto speciale – ad esempio nel 544 bis è prevista l’aumento di pena qualora sopraggiunga la morte in seguito ai maltrattamenti – ma è pur vero che l’effetto special-punitivo (che pure è funzione della pena) non svolge il suo compito appieno.

Benché chi scrive non sia un fanatico della pena detentiva, cionondimeno sarebbe il caso di ripensare questo impianto sanzionatorio non solo modulando meglio i limiti edittali ma anche in termini di valutazione della pericolosità sociale, chiave dell’attività di prevenzione.

Infatti, come detto, il secondo profilo che questa vicenda riporta all’attenzione è quello proprio della funzione di questi reati quali spia di ulteriori possibili condotte in danno di esseri umani.

La violenza sugli animali come reato spia

In primo luogo giurisprudenza costante inserisce i maltrattamenti contro gli animali come condotta rientrante nella fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. La violenza nei confronti di animali domestici della vittima costituisce dunque una modalità di espressione della condotta a danno della vittima di violenza di genere e più in generale di stalking (oltre a integrare, appunto, un reato a sé stante in concorso). In Italia oltre a copiosa dottrina, si richiama l’attenzione sul caso di Velletri. In tale circostanza, l’imputato oltre a svariate condotte moleste e minatorie si era ripreso nell’atto di affogare un cane appartenuto alla coppia a cui la vittima era particolarmente legata. La Procura e poi il GIP hanno considerato detta vioelnza (anche) parte della condotta ex art. 612 c.p. e ciò era costato all’imputato una misura cautelare (non detentiva).

Profiling e indicatori di pericolosità

In secondo luogo, è’ dai tempi delle prime codificazioni del profiling sui serial killer che la violenza contro animali è messa in stretta correlazione prodromica con efferatezze successive a danno di persone fragili (donne, minori ecc.). Essa costituisce un importante indicatore di pericolosità sociale come ci dicono importanti indicazioni di Scotland Yard e persino dell’OMS.

Intervenire in base a un giudizio di pericolosità sociale è la chiave della prevenzione oltre che di un possibile e tempestivo supporto per l’interessato.

Insomma, lungi dall’essere un mero vezzo, la tutela del sentimento verso gli animali mostra di avere importanti conseguenze sul piano socio-giuridico. Motivo per il quale il legislatore nel tempo ha mutato orientamento in materia. Da mera contravvenzione la condotta è divenuta delitto e ciò ha delle indubbie conseguenze sul piano sanzionatorio, con tutti i limiti sopra tratteggiati.

Cosa si può fare

Dal 2004 anno dell’introduzione della L. 189, molti passi sono stati fatti, ma evidentemente ancora non a sufficienza per contenere un pericoloso fenomeno che non accenna a diminuire.

L’auspicio è dunque che la terribile tragedia di Angri, possa costituire un’occasione per il legislatore di ammodernare la disciplina e ricalibrarla anche alla luce di giurisprudenza ormai ventennale.

Su questo, credo che non vi possa essere distinzione di “colore politico”, ma che sia una battaglia di civiltà trasversale anche per dare piena attuazione a quanto proveniente dalle direttive comunitarie in materia.

Lo dobbiamo al piccolo Leone!

 

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