La Speranza dell’Africa

Africa continente sconosciuto. L’analisi della situazione demografica, economica, sociale e politico-militare del continente nero offre sovente risultati che si prestano a interpretazioni fallaci e a stereotipi che colpiscono l’opinione pubblica occidentale, falsandone il giudizio.

l’Africa non è più (solo) Wilbur Smith

Chi ha amato l’Africa dei romanzi di Wilbur Smith deve rapidamente ricredersi, riconvertire il proprio credo o quantomeno relegarlo a un tempo che non esiste più.

In un momento storico molto complicato in cui in particolar modo l’Europa è oggetto di una migrazione massiccia e deve fare i conti con un’identità incerta, fragile e precaria messa in perenne discussione non tanto da processi ineluttabili, quanto da scarsa capacità di maneggiarne gli esiti.

Ma che cosa è veramente il “pianeta Africa”?

La Speranza africana: il nuovo libro di Rampini

Prova a spiegarlo Federico Rampini nel suo ultimo lavoro intitolato “la Speranza Africana”.

Avere una corretta visione di che cosa sia il Continente Nero è fondamentale per chiunque si affacci alle tematiche politiche, migratorie, culturali e identitarie, scevro da tifoserie ma animato dalla volontà di conoscere per risolvere problemi.

A maggior ragione in questo momento in cui i recenti golpe che hanno avuto come teatro il Niger e il Gabon, sotto la pressione russa, ci interrogano su quale futuro globale ci attende, se ci sia o meno una co-regia politica che orienta il rapporto tra l’Europa e l’Africa (naturalmente a scapito della prima).

Una co-regia che trova nel processo migratorio una sua manifestazione ma non certo la causa o l’obiettivo di una nuova politica che sposta l’asse del mondo a est (non dimentichiamo che il Sud Africa – uno degli stati più ricchi ed emancipati del continente – fa parte dei BRICS).

Non vi è dubbio che il libro di Federico Rampini ha il merito di puntare la luce in modo lucido e imparziale su queste tematiche depurandole da approcci banalmente ideologici.

Perché da destra, dovremmo leggere Rampini

Può sorgere la legittima domanda perchè, da destra, si sottolinea l’importanza del contributo di Rampini. Ebbene, oltre a essere Federico Rampini un valido giornalista ed editorialista, è un intellettuale “di mondo”, in grado di osservare con notevole lucidità i processi  politici e culturali globali. Un autore che ha saputo mettere a nudo il paradosso del progressismo moderno e di contestarne le fondamenta. Spunti di estrema lucidità soprattutto nella sua analisi di cosa sta diventando l’Occidente sotto l’influenza dell’elite progressista, merita  – a giudizio di chi scrive – una attenta riflessione, sebbene proveniente da un autore che storicamente sta a sinistra.

Gli stereotipi che condizionano il dibattito

Siamo davvero sicuri che i processi di migrazione siano epocali e ineluttabili? E’ davvero colpa dell’Occidente se in Africa ancora persistono povertà, malnutrizione e malattie? Cosa sta realmente succedendo in questo delicato passaggio tra “dominio occidentale dell’Africa e “dominio russo-cinese”?

Ciascuno di noi su queste domande ha delle proprie risposte, più o meno colte, più o meno fondate. Ma tutti percepiscono – consapevolmente o in modo più sfumato – che attorno a queste tre domande si trovino i tratti essenziali per comprendere alcuni dei problemi principali che, di rimando, l’Europa deve affrontare. Un’Europa debole che non è in grado di agire in modo sinergico, e che di fatto delega i singoli stati nazionali a farsi carico dei confini meridionali del continente o, al contrario, induce alla parcellizzazione della risposta.

Insomma, attorno al futuro dell’Africa si gioca anche il nostro.

Nè Afrocalisse nè Afroeuforia

L’Africa – sostiene giustamente Rampini – lungi dall’essere solo un continente solo “predato”, oggi si candida da protagonista nello scacchiere  economico, culturale e persino politico-militare. Il tempo delle imposizioni dall’altro di equilibri e leader continentali è sulla via del tramonto. Che cosa ne verrà, ancora non è dato sapere. Quale sarà l’influenza della Cina e quanto forte sarà la sua pressione, è un tema fondamentale. La situazione, tuttavia, è dinamica, in movimento e non consente ancora (per fortuna) bilanci a consuntivo. Ma non siamo di fronte – per citare l’autore – nè all’Afrocalisse né all’Afroeuforia.

Cioè né l’apocalisse né la tendenza a pavoneggiarsi da parte di alcuni leaders per attrarre investimenti occidentali.

La demografia africana

Un esame serio e maturo si rende necessario ed è quello che prova a offrire Rampini partendo dal rimettere in discussione alcuni parametri che rimbombano da un lato all’altro dei media occidentali.

Intanto il boom demografico. Se è vero da un lato che ci troviamo di fronte a un popolo fecondo e giovane (un miliardo e mezzo di abitanti), negli ultimi cinque anni nei paesi subshariani il tasso di fertilità è sceso di 1,2 punti percentuale e stessa cosa vale per Senegal Ghana e Mali. Negli stati del Maghreb la tendenza è invece consolidata da anni ormai. Seppur lentamente e con tutte le difficoltà del caso, la donna africana è sempre meno “madre” e sempre più “studentessa”, lavoratrice” e ha iniziato un lento e complicato processo di emancipazione da vecchi retaggi religioso-tribali.

Naturalmente ciò non significa che il trend si consoliderà senza scossoni ovvero velocemente. Ma non lo si può negare. Le stesse Nazioni Unite, tanto per dire, hanno rivisto al ribasso le stime di crescita demografica.

Perciò, quando si parla di bomba demografica occorre interrogarsi se se ne conoscono le reali dinamiche, soprattutto con riferimento ai processi di migrazione di massa, che non sono né epocali né ineluttabili.

Le conseguenze sul piano delle migrazioni

Il tema migratorio dunque non può essere sottovalutato perché esso ha drammatiche conseguenze sul nostro modo di vivere. Ma secondo Rampini tale influenza si determina più sul piano della qualità dell’integrazione che non del numero degli integrandi.

E da questo punto di vista, una nota di pessimismo è ammessa. I giovani africani sono portatori per loro stessa ammissione – e nel testo se ne dà contezza – di valori diversi a tratti incompatibili con quelli che hanno forgiato il continente euro-americano. Valori di cui non vogliono liberarsi per accogliere quelli europei. E se il tema è la mancata volontà dell’integrazione lo slogan apparentemente populistico dell’”invasione” diventa di natura qualitativa e non quantitativa. E ciò, crea problemi di non poco conto. Par di sentire riecheggiare le parole di Oriana Fallaci, quando, in modo assai provocatorio, ammoniva l’occidente sulla debolezza dei propri valori. Sul fatto che tutto è divenuto negoziabile, a fronte invece di ideologie forti e talvolta aggressive.

Economia africana tra vecchi e nuovi padroni

Poi vi è il nodo economico. Il rapporto tra ricchezze del territorio e povertà della popolazione, in un continente pieno di immense e diverse risorse naturali e una platea di consumatori in espansione. L’Occidente, sempre prono ad autocensure ipocrite e vittima di autoimposti sensi di colpa ha rinunciato a essere protagonista, lasciano campo aperto alla Cina prima, poi alla Russia e infine a un modello generalizzato asiatico che ci ha messo ai margini del progresso economico africano.

Ma le colpe dell’Occidente non risiedono tanto sul piano “morale” quanto su quello dell’efficacia economica degli interventi.

Rampini dà conto di risorse erogate pari a 20 volte il piano Marshall fra il 1960 e il 2010. Eppure dilapidate senza alcun beneficio sullo sviluppo economico africano. In quegli anni così cruciali, a fronte delle erogazioni è’ aumentata la povertà. Come mai?

la sindrome di Tafazzi tipicamente occidentale

Troppo semplicisticamente, poi, l’Occidente si è assunto l’intera colpa di tale dinamica senza considerare il lato autoctono della vicenda. L’autocolpevolizzazione, così come l’autoassoluzione, sono facce di una stessa semplicistica medaglia. Buona a coltivare battaglie ideologiche, pessima ad affrontare i problemi e a mutare linee di tendenza. La classe politica africana è dotata di una sua autonomia, spesso condizionata da logiche che per l’occidentale sono incomprensibili, ma che ne condizionano l’operato sminuendo l’efficacia della pressione.

Insomma, non è una classe di bambini delle elementari e di certo l’Occidente ha da tempo perso il presunto ruolo di “maestro”. Quando ha provato a recitare tale ruolo – si pensi alle Primavere arabe – il risultato è stato catastrofico.

L’estremismo dei diritti umani nelle parole di Rampini

Ma ciò ha paradossalmente amplificato quelle tendenze autodemonizzanti tipiche di certi ambienti progressisti americani (e di conseguenza europei), che, invece di trar lezione dal fallimento, si è semplicemente ritirato dal campo di gioco, condizionando in modo drammatico la politica occidentale. Ogni tentativo di partnership economica euro-africana viene bollata come neocolonialismo, tentativo di saccheggiare le risorse, alimentare la corruzione e quant’altro. Tutti “cavilli ideologici” che non attanagliano certo Russia, Cina, India ecc. Insomma, un certo estremismo liberal si trasforma in un boomerang.

La miopia francese

All’estremo opposto, ha giocato la politica miope della Francia rimasta ancorata a un approccio Ottocentesco dei rapporti inter-continentali. Segno evidente, anche in questo caso, del fallimento dell’Europa in quanto continente politico, peraltro. La vicenda Gheddafi avrebbe da insegnare tanto a riguardo.

l’ambientalismo ideologico

Da poco tempo (si fa per dire) a tali idiozie (mi si perdoni l’eccesso linguistico) si è aggiunto il catastrofismo ambientalista (che l’Autore definisce, non a torto, adolescenziale) che vorrebbe riconvertire sic et simpliciter, l’energia fossile in energia rinnovabile nel Continente nero, imponendo agli africani il rapido abbandono della prima.

L’effetto è surreale quasi grottesco. Energie rinnovabili che non sono in grado di fornire elettricità a un abitazione, dovrebbero implementare il fabbisogno industriale del continente? Sembra assurdo, eppure anche questo pesa nella dinamica dello sviluppo africano e nei suoi rapporti con l’Occidente. Altra questione che il blocco asiatico non deve minimamente affrontare.

“La Speranza Africana” , un libro da leggere

Insomma, il quadro che emerge dall’opera di Rampini è dunque un quadro complesso, sfumato, che dovrebbe essere approfondito da una classe politica seria perché il crocevia del mondo oggi sta al di là del Mediterraneo.

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