La Sanità toscana rischia la bancarotta
Dietro la grande illusion della “razionalizzazione” si cela in realtà il sistema che affonda.
In Toscana ormai non si parla più di riforma della sanità, ma di mitologia politica e propaganda contabile.
Dietro il linguaggio politichese della governance regionale, dei target di spesa, delle ricette elettroniche e dell’appropriatezza prescrittiva, non c’è un progetto reale di miglioramento dell’assistenza sanitaria, ma la gestione disperata di un sistema che spende troppo, fornisce sempre meno e scarica costi sui cittadini
La conferma più lampante di questo disastro non è nelle brochure informative dell’assessorato alla sanità, ma nei bilanci: tutte le Aziende Sanitarie Locali toscane hanno chiuso il 2024 in pesante perdita, con un deficit complessivo che sfiora i 200 milioni di euro nonostante l’aumento dell’addizionale IRPEF regionale che avrebbe dovuto “coprire” le spese.
La giunta regionale guidata da Eugenio Giani (Pd) ha difeso l’aumento della tassazione come necessario per sostenere il servizio sanitario, ma i conti non tornano
Nel documento sul bilancio regionale emerge che gran parte dell’addizionale IRPEF doveva andare a sanità, eppure solo una minima parte di questi fondi è rimasta effettivamente destinata ai servizi sanitari, mentre il resto è servito a coprire i deficit.
E se è vero che la Toscana viene celebrata da alcune classifiche di welfare come “eccellenza” del sistema sanitario nazionale, tali valutazioni spesso si basano su indicatori di salute generale, non su efficienza, accessibilità o sostenibilità finanziaria.
Nel frattempo, cresce una anomala spesa sanitaria privata: i cittadini toscani spendono in media 802 euro pro capite l’anno per prestazioni e cure fuori dal Servizio Sanitario Nazionale, ben al di sopra della media italiana
Una quota importante di questi costi è legata proprio alla difficoltà di accesso alle prestazioni pubbliche o ai lunghi tempi di attesa, dati più volte riferiti e denunciati dal candidato di centro destra Alessandro Tomasi alle ultime elezioni regionali.
Questa dinamica non è una fatalità di mercato, ma è bensì la conseguenza diretta di un modello in cui il servizio pubblico non risponde più ai bisogni reali.
La Regione Toscana ha avviato un’indagine specifica proprio per comprendere quanto e perché i cittadini ricorrono alla sanità privata per visite specialistiche e analisi diagnostiche, segno che il fenomeno è percepito come rilevante e non marginale, ma la ricerca è di carattere economico materia misconosciuta ai funzionari e politici regionali, molto banalmente la cosa si spiega così: dove c’è richiesta di un bene o servizio prima o poi c’è chi lo offre a fronte di un bebeficio economico e se questo servizio fosse reso illegale dalla politica quasi sicuramente darebbe vita al mercato nero, rammentate gli aborti clandestini?
Il risultato pratico è semplice quanto banale chi può, paga chi non può, rinuncia, ma anche chi può in realtà paga due volte perché a fronte di una maggior tassazione è costretto a pagare a pieno ciò che in realtà gli spetterebbe e questo prima o poi gli farà a porre la domanda se questo sia giusto o meno.
Forse ancora molti non hanno a pieno maturato questa consapevolezza ma se.bra solo questione di tempo, e intanto il report Gimbe segnala che il 5,6% dei toscani ha rinunciato alle cure nel 2023, un dato sensibilmente più basso di alcune altre regioni, ma pur sempre indicativo di un problema strutturale
Le liste di attesa si allungano e i filtri sul territorio (medici di famiglia, case della comunità, medicina di base) arrancano. I pronto soccorso sono congestionati da accessi impropri che la medicina territoriale non intercetta, con oltre 1,5 milioni di accessi nel solo 2024 e una quota molto alta di prestazioni che non portano a ricovero.
In questo contesto di carenze strutturali e finanziarie, si può parlare di sanità pubblica che si “razzionalizza” quando si impone ai medici di famiglia di prescrivere meno farmaci mutuabili, o quando si organizza la dematerializzazione delle ricette per tracciare meglio i consumi?
La risposta è no. Queste misure non rispondono al problema reale, che non è quello dei pazienti che chiedono farmaci appropriati, ma di un sistema che:non ha abbastanza risorse per rispondere alla domanda di prestazioni in tempi accettabili,spende più di quanto incassa nonostante aumenti fiscali dedicati,costringe i cittadini a rivolgersi sempre di più alla sanità privata a pagamento,scarica sui medici di base il ruolo di “controllori di bilancio” invece che di clinici.
È di fatto un secchio bucato e ormai la retorica dell’appropriatezza prescrittiva diventa così un clamoroso alibi politico che non riesce più a riempirlo : una cortina fumogena dietro la quale si nasconde l’impossibilità di offrire risposte sanitarie adeguate con un sistema che si regge su conti in rosso e redditometro delle famiglie
Il vero problema non sono i farmaci prescritti, ma le liste di attesa, la mancanza di personale, il debito sanitario e il ricorso crescente alla sanità privata, che in altre circostanze dovrebbe essere un complemento, non l’alternativa a una sanità pubblica in difficoltà.
Chi oggi accusa i cittadini che pagano un antibiotico o una visita specialistica di “abuso” dimentica che quella spesa è spesso la sola alternativa a mesi di attesa e magari a una diagnosi tardiva
E mentre la sanità privata avanza incontrastata, con investimenti e strutture che rispondono alla domanda che il pubblico non soddisfa, la classe politica regionale sembra incapace di ammettere che il problema non è di competenza prescrittiva, ma di un sistema in crisi strutturale.
Ma si sa la sanità toscana è un punto d’orgoglio regionale che va difeso costi quel che costi e i costi sono sicuramente nostri, una sanità seconda solo a quella Cubana che speriamo non porti anche le nostre macellerie e negozi ad un offerta cubana anche se ormai la maggior parte dei cittadini aventi diritto al voto sembra non rendersene conto.
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