La riforma sul voto di scambio politico-mafioso

Forse un po’ in sordina, ma la Camera dei Deputati il 7 marzo scorso ha approvato una modifica all’art. 416 ter, ossia lo scambio elettorale politico-mafioso, giusto in tempo per la prossima tornata di maggio.

Sulla scia motivazionale riformista post spazzacorrotti, il Governo GialloVerde, pardon, più Giallo che Verde, ha proposto e fatto approvare il nuovo testo suscitando polemiche e perplessità bipartisan.

Se da un lato si hanno ancora davanti agli occhi le parole del Deputato 5stelle Andrea Coletti che, intervenuto nella discussione sulla legittima difesa, dichiara come le norme penali debbano essere vaghe (scordandosi forse che le leggi penali debbono rispondere ai requisiti di astrattezza e generalità) , dall’altra ci troviamo dinnanzi ad una riforma dal percorso decisamente accidentato e tortuoso.

Il motto “giustizia ed onestà” ha lasciato spazio adesso ad una “vaghezza” concettuale mai vista prima.

Non è certamente attraverso un innalzamento della pena (adesso da 10 a 15 anni di reclusione) che si riesce a ripulire il panorama dalla nubi; il nuovo testo, infatti, punisce con la stessa pena prevista per l’associazione mafiosa l’accettazione, diretta o a mezzo di intermediari, della promessa del sostegno elettorale in cambio della erogazione di denaro, di qualunque altra utilità o della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione criminale.

Perché si prospetti l’ipotesi di reato i  voti devono essere ottenuti: da soggetti appartenenti ad associazioni mafiose oppure mediante modalità mafiose. Se per il riconoscimento del metodo mafioso è sufficiente applicare un comportamento idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale, ben più complesso è ricondurre un soggetto ad una associazione.

Ed è qui che subentrano i primi problemi (fortunatamente risolti in sede di votazione) riferibili alla grossolana formulazione iniziale grillina: affinchè vi potesse essere una declaratoria di “mafiosità” il procacciatore di voti doveva essere stato giudicato come tale dopo un processo, rendendo di fatto farraginosa la consumazione del reato.

E’ curioso come una riforma nata per migliorare, rischiasse di complicare uno scenario già di per sè di difficile lettura.

Scongiurato il pericolo iniziale, il testo ha finalmente trovato la sua dimensione grazie al lavoro dei gruppi parlamentari tutti: rispetto alla attuale formulazione dell’art. 416-ter c.p., infatti, il testo approvato dalla Camera estende la punibilità anche ai casi in cui la condotta incriminata sia stata realizzata mediante il ricorso ad intermediari.

Il procuratore può sostituirsi indifferentemente al candidato, accettando al suo posto la promessa dell’appoggio elettorale, sia al criminale, promettendo sostegno; amplia ulteriormente l’oggetto della controprestazione di chi ottiene la promessa di voti, contemplando non solo il denaro e ogni altra utilità, ma anche “la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze della associazione mafiosa” ed infine, prevede un’aggravante riferibile al risultato elettorale: se chi ha concluso l’accordo con il mafioso viene eletto, la pena prevista per lo scambio elettorale politico mafioso è aumentata della metà.

Per dovere di cronaca si allega il testo http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1105860/index.html?part=ddlpres_ddlpres1-articolato_articolato1

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