La morte di un Boss

Alla fine il boss è morto. Matteo Messina Denaro ex primula di Cosa Nostra, latitante per 30 anni e arrestato finalmente nello scorso Gennaio, ha perso la sua battaglia contro il tumore che da anni lo aveva colpito.

La morte di Matteo Messina Denaro

La morte, si sa, non guarda in faccia a nessuno. Ricco o povero, onesto o criminale, quando giunge il momento, le fredde dita della Ghermitrice, si abbattono inesorabili. E non v’è protezione che tenga!

Quella protezione di cui, tuttavia, Matteo Messina Denaro ha beneficiato per trent’anni e che gli ha permesso di passare indenne da condanne all’ergastolo che dal 1999 sono piovute come grandine sulla testa del mafioso.

Eh già, perché il padrino di Castelvetrano è stato per decenni il punto di riferimento della mafia trapanese, e, dopo la cattura dei boss Totò Riina e Bernardo Provenzano, della mafia in generale. Autore di crimini odiosi, assassinii stragi, tangenti ed estorsioni e persino rapimenti. Una carriera criminale odiosa e terribile, fino all’ingloriosa fine all’interno del carcere de L’Aquila, in regime di 41 bis.

Come anche Totò Riina e Bernardo Provenzano, insomma, se ne va un perdente. Uno sconfitto.

Chi era Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro, quarto di di sei figli, nacque nel 1962 nella trapanese Castelvetrano, non completò mai gli studi e si dedicò giovanissimo alla carriera criminale, ascendendone in poco tempo le vette, come vice di suo padre nel mandamento cittadino.

Da killer provetto di Cosa Nostra a vero e proprio boss, fu alleato di ferro dei Corleonesi sin dalla seconda guerra di mafia che ha insanguinato la Sicilia negli anni 80. Partecipò poi all’assalto allo Stato, facendo parte del commando che tentò varie volte di uccidere Maurizio Costanzo e Giovanni Falcone.

La “carriera” criminale

Negli anni ‘90 fu protagonista della strategia stragista, condividendone in pieno le feroci finalità, ed era fra i killer che tentarono (fortunatamente invano) di uccidere il commissario Rino Germanà, stretto collaboratore di Paolo Borsellino.

Dopo l’arresto di Totò Riina, propugnò la necessità per Cosa Nostra di continuare con la strategia del terrore e suoi uomini fecero parte dei commando di Firenze, Roma e Milano.

Fu, inoltre, co-autore del rapimento e del barbaro omicidio del piccolo Santino Di Matteo, figlio del boss pentito.

I mandati di cattura e infine l’arresto

Dal ‘93, grazie alla testimonianza di vari collaboratori di giustizia, vennero spiccati vari mandati di cattura nei confronti del boss che si dette alla latitanza, pur continuando a gestire il mandamento di Castelvetrano per conto del padre, capomandamento, gravemente ammalato e a concedersi vacanze lussuose a giro per l’Italia.

Nel 1998, anno della morte di quest’ultimo, Matteo Messina Denaro ne prese il posto al vertice della cosca e, divenne punto di riferimento dell’intera Cosa Nostra.

Tutto questo fino al 16 Gennaio 2023, quando, ormai malato di tumore, venne arrestato dal ROS nei pressi della clinica palermitana “La Maddalena”.

Tratto in arresto e detenuto in regime di 41 bis nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila, è morto a 61 anni, proprio nella giornata di ieri.

I segreti che porta nella tomba

La parola che emerge prepotentemente in queste ore, riguardo a Matteo Messina Denaro, è “segreti”. Quanti segreti si è portato nella tomba il boss? Segreti che, se rivelati, getterebbero luce sull’ombra delle stragi e sulle coperture importanti che ne hanno consentito una così lunga latitanza.

Legami oscuri con l’imprenditoria siciliana e con i notabili del luogo. Affari e coperture, soldi e potere. La triste costante di un’Italia a tratti compromessa e comunque infettata dal cancro di Cossa Nostra che, ancora sopravvive nonostante i colpi inferti dai servitori dello Stato.

Coperture e complicità

Perchè è evidente che per garantirsi una così lunga e tutto sommato tranquilla latitanza molti sono stati gli appoggi di cui il boss ha potuto godere in questi anni. Filoni di indagine che la scomparsa di M.M.D. non fermano e che continueranno ad andare avanti per capire e comprendere il passato ma, soprattutto, il futuro dell’organizzazione.

Che influenza ha avuto il suo arresto e adesso la sua morte su Cosa Nostra? Chi ne prenderà il posto? Che equilibri interni si sono stagliati all’interno?

Nuovi equilibri in Cosa Nostra? Che cosa è la mafia oggi?

C’è da dire che con la morte di Messina Denaro se ne va l’ultimo dei boss “vecchia maniera”, intendendo con tale espressione quella “classe dirigente mafiosa” incline alla violenza come unico strumento principale di risoluzione dei conflitti interni ed esterni.

Una mafia in parte superata da una corporation criminale preferisce l’economia al kalashnikov. Che predilige la finanza al tritolo. Che non fa rumore, che sa usare la tecnologia senza incorrere, purtroppo, nelle tracce che essa lascia. Una mafia ancor più pericolosa, che infetta il tessuto produttivo e sociale di questo paese e lo fa in sordina.

O forse no?

O forse no?

O forse anche questa narrazione fa parte di una mistica che ha fatto la fortuna di una certa antimafia? Non possiamo non chiedercelo. Siamo sicuri che il non commettere reati plateali sia segno di forza, o al contrario non contenga in sé il seme del declino per l’organizzazione?

D’altra parte, se così fosse, che fine farebbero i romanzieri da diporto, i giornalisti che quasi paiono rimpiangere i tempi bui degli anni ’80, e quell’antimafia emergenziale da film? Ce fine farebbero coloro i quali hanno spettacolarizzato l’arresto di un boss dandone conto sin nelle minime pieghe e nei minimi dettagli rigorosamente esposti al pubblico? Che fine farebbero i giornalisti che oggi rimpiangono che a uccidere Messina Denaro sia stata “solo” una malattia e non magari una bella sedia elettrica o un mega-conflitto a fuoco degno dell’Ispettore Callaghan?

Se fosse un film – come direbbe il giornalista Carlo Lucarelli – oggi avremmo il nostro lieto fine. La definitiva liberazione di cui tanti parlano. Se fosse un film, tutto sarebbe finito.

Non è un film!

Ma no! Non siamo su un set cinematografico. Non c’è gioia nella morte di un uomo, benchè brutale assassino. Non c’è liberazione per una terra – lo Stivale intero – che deve costantemente fare i conti con la mafia. Non è un film, e quindi presto scenderà l’oblio su Messina Denaro, così come su Binnu Provenzano e prima di lui Totò Riina. Personaggi tragicamente pleistocenici, consegnati alla storia peggiore di questo Paese.

Come che sia, a noi comuni mortali non è dato conoscere lo stato dell’arte sullo stato attuale di Cosa Nostra! La risposta potrebbero darla solo gli addetti ai lavori, giuristi e sociologi, magistrati e poliziotti.

Segnali inquietanti

Eppure, segnali inquietanti si stagliano all’orizzonte “culturale” post-moderno. Messaggi di solidarietà e condoglianza per la morte del boss spuntano come funghi dalle pagine social di anonimi internauti.

Da Castelvetrano si eleva la voce indignata del nipote di M.M.D., Giuseppe Cimarosa, da sempre lontano dalla mafia e anzi, strenuo difensore della legalità. A fronte di questi atroci post, il messaggio veicolato è terribile. Da spavento.

Il consenso che anche da morto viene tributato al boss, ci dice che la lotta è ancora lunga, e che non si può condurre solo con codici e leggi, né con pistole e mitragliatori. E’ molto più profonda, molto più complessa, va al cuore di che cosa siamo come popolo e di cosa stiamo diventando.

No, non è un film, e la lotta continua……………

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